Ci vuole tempo, dedizione, notti e giorni interi per registrare un album. Sessioni sfrenate, giornate sfiancanti, dove gli accordi trovano spazio nell'inframezzo di respiri, e le voci lasciano scorrere libere melodie e note emozionanti. Eppure, per gli artisti chiamati a incidere We are the world il tempo non era un elemento da prendere in considerazione. Tutto doveva manifestarsi nell'arco di una notte: la magia doveva compiersi mentre le lancette scorrevano e la stanchezza aumentava. Contro il caldo, contro gli ego smisurati di artisti comunque in competizione, seguendo le indicazioni di Quincy Jones e Lionel Richie, We are the world doveva prendere vita; lo doveva per la causa benefica, per il record di vendite, e per l'impatto che tre minuti di canzoni avrebbe avuto sull'immaginario collettivo.
Eppure, come sottolineeremo in questa recensione di We are the world: la notte che ha cambiato il pop quella voglia di lasciarsi stupire, danzando emotivamente sulle note di un brano così storicamente e sentimentalmente impattante, vive invece di una certa semplicità che ne depotenzia ogni possibilità. E così, l'illusione di esserci, di vivere un evento a noi precluso per riservatezza, tempismo, fattori anagrafici e geografici, lascia spazio a una fastidiosa sensazione di qualcosa di poco sfruttato, perché poco coinvolgente, poco immersivo. Quelle stesse porte che tenevano lontani occhi indiscreti, continuano ad allontanare gli sguardi appassionanti dei propri spettatori, mostrando e raccontando nulla più di quello che già sapevamo, già avevamo ascoltato, già abbiamo imparato ad apprezzare.
We are the world: la notte che ha cambiato il pop - la trama
Correva l'anno 1985. La fame in Africa è un flagello sempre più dilaniante e il tempo d'azione si restringe sempre più. E così, nell'arco di tre giorni, Michael Jackson e Lionel Richie scrivono un brano che verrà inciso il 28 gennaio del 1985 in uno studio di registrazione di Los Angeles. Ma i due artisti non erano soli: coadiuvato da Harry Belafonte e Quincy Jones, Richie radunò la più incredibile compagine di musicisti mai vista dai tempi di Woodstock per registrare una performance a favore dell'Africa: nasceva la notte magica di We are the World. Quella notte ora diventa materiale di ricostruzione documentaristica, sostenuta dai racconti e le testimonianze di chi quella notte l'ha vissuta prima sulla propria pelle, e poi sulla propria voce.
I 20 migliori film sulla musica da vedere
Racconto di riprese e poco di emozioni
Cosa abbia voluto rappresentare l'uscita di "We are the world" lo ha stabilito lo scorrere del tempo; grazie a un documentario come quello disponibile su Netflix, sarebbe stato bello e divertente scoprire cosa fosse avvenuto all'interno degli studi A&M di Los Angeles. È la potenza del cinema, o dei documentari, quella di far viaggiare illusoriamente il proprio pubblico indietro nel tempo, lasciandolo sbirciare attraverso un immaginario buco della serratura quello che è stato e che si era solo immaginato. Con il documentario diretto da Bao Nguyen (e prodotto dallo stesso Richie) era possibile cioè sentirsi parte di un qualcosa di unico e irripetibile; stare virtualmente lì, a fianco di Michael Jackson, Bob Dylan e Ray Charles. Eppure qualcosa viene a mancare nello scorrere dell'opera; manca il cuore pulsante della storia, un ritmo incalzante che lasciasse scorrere un flusso di emozioni e sorpresa. Tutto si limita al raccordo di riprese inedite, alternandole al ricordo di chi, come Bruce Springsteen o Cindy Lauper, quelle emozioni le hanno vissute sulla propria pelle, restituendole in acuti e versi immortali. Il resto viene lasciato ancora una volta alla fantasia dello spettatore, a quel non detto e non mostrato che lascia un sapore agrodolce sulla punta della lingua.
I 20 migliori documentari su Netflix da vedere assolutamente
Gioco di ego
Sembra quasi una pacca sulla spalla che Lionel Richie intende dare a se stesso, e a chi lo ha aiutato in questo evento, We Are the World: la notte che ha cambiato il pop. Il racconto di quella notte, compiuto principalmente attraverso un'opera di montaggio che raccorda insieme filmati inediti e altri più conosciuti, tenta di emozionare tramite gli scherzi e l'umana solidarietà che si insinuava tra quelle mura, per poi scivolare proprio là dove credeva di ritrovare il proprio punto di forza. C'è un che di autocelebrativo e di vanagloriosa sicumera nello spazio dei raccordi di We are the world.
Non basta mostrare la stanchezza che prevarica gli attimi di incisione, i tentativi di migliorare un brano destinato a segnare il mondo della musica, i ricordi di artisti iconici, e gli sguardi vacui di Bob Dylan: per cogliere il cuore dei propri spettatori serviva aggiungere dinamicità emotiva all'opera documentaristica, indugiare sui momenti di tensione e di incomprensione. Così facendo si sarebbe limato (e limitato) quel filtro di perfezione e forzata amicizia che pare avvolgere tale produzione. Ma così non è stato, così come è venuta meno la possibilità di mostrare in termini concreti cosa il guadagno di tale brano ha comportato nel territorio africano nella lotta alla fame. Ancora una volta al centro dello schermo vengono riproposti i cantanti, gli show per il mondo, l'ego dei protagonisti, e sempre meno le condizioni di povertà che tale evento desiderava contrastare.
"Lasciate l'ego fuori dalla porta": eppure a essere tradito nel corso di_ We are the world: la notte che ha cambiato il pop_ è proprio il motto del produttore Quincy Jones lasciato scritto fuori dallo studio di registrazione. A muoversi silente in ogni sequenza è l'ego di Lionel Richie che va ad atterrire un racconto che tanto poteva offrire e dare, ma poco ha donato in termini di immedesimazione spettatoriale e legami affettivi. Al di là dei fandom, al di là dell'ammirazione per un dato artista, quello che We are the world: la notte che ha cambiato il pop va a ripercorrere è la riproposizione di ciò che è stato, dimenticandosi di ciò che poteva smuovere nel cuore dei propri spettatori, regalando vecchie emozioni sotto nuove forme e contenuti.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di We are the world: la notte che ha cambiato il pop sottolineando come il documentario prodotto da Lionel Richie non riesca a sfruttare appieno le potenzialità in esso nascosto, per limitarsi alla riproposizione di filmati più o meno inedite, accompagnandole al ricordo di chi l'incisione del brano iconico lo ha vissuto sulla propria pelle. Tutto vive sulla superficie, senza quindi indugiare nell'anima.
Perché ci piace
- L'uso di materiale inedito.
- Le testimonianze di artisti come Bruce Springsteen e Cindy Lauper.
Cosa non va
- Il poco spazio dedicato alle iniziative compiute grazie alle vendite di tale brano.
- L'ego di Lionel Richie.
- Un senso di retorica che inficia il comparto umano caratterizzante gli attimi raccontati.