Wanna: perché la docuserie Netflix è l’origin story di una villain, Wanna Marchi

Sull'onda del successo della docuserie Netflix dedicata a Wanna Marchi, riflettiamo sul perché si tratti a tutti gli effetti dell'origin story di una donna che fa una figura tutt'altro che lusinghiera, la villain delle televendite.

Wanna Poster
Locandina di Wanna

"L'origin story di una villain". È così che autori e produttori di Wanna, la docu-serie in quattro episodi su Wanna Marchi disponibile dal 21 settembre su Netflix, hanno definito colei che è stata al centro delle televendite e delle mega truffe degli anni '80 e '90 insieme alla figlia Stefania Nobile. Il poster di Wanna d'altronde recita "Ingannare sempre. Pentirsi mai. D'accordo?" e il dipinto che emerge delle due donne è tutto tranne che lusinghiero. Ovvero due persone che tutt'oggi hanno scontato la loro pena e vivono come libere cittadine, non sono pentite di ciò che hanno fatto, e non dimostrano il benché minimo rimorso. Alessandro Garramone, ideatore e scrittore della serie, conferma che la docu-serie non è un biopic su Wanna Marchi, bensì una cartina di tornasole, un ritratto dell'Italia degli anni '80 e '90 e cosa ha portato al successo e poi allo sbugiardamento del loro sistema di televendite messo in piedi più volte, come una fenice che continuava a risorgere dalle proprie ceneri, che ha imparato a rialzarsi dopo un fallimento anche sostanziale a livello economico e aziendale.

Avvertimento o celebrazione?

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Wanna: una foto di scena

La paura, almeno a livello mediatico e di percezione, è che la docuserie porti nuovamente attenzione su Wanna Marchi più che sulle vittime della sua maxi-truffa. Ma Garramone rassicura: "La notorietà di Wanna Marchi in realtà non si è mai spenta del tutto ed è diventata iconica per merito o demerito che sia, ma non siamo andati a svelare un mistero, piuttosto a ricostruire l'arco narrativo che riguardava la sua vita, i cui eventi e non era mai stato messo in fila. Erano stati raccontati dei momenti, soprattutto legati alle truffe e al famoso servizio di Striscia la notizia, ma mai cosa avesse portato a quegli eventi". D'altronde c'è bisogno di docuserie come questa - come anche Sanpa: Luci e tenebre di San Patrignano, come le serie di finzione WeCrashed e The Dropout - per ricordarci che il mondo si è evoluto e così anche le truffe. Possono ancora succedere, è solo cambiata la tecnica, sono cambiati gli strumenti. "Le truffe come quelle di Wanna Marchi non ricapiteranno vendendo prodotti in tv, ma basta pensare ai post sponsorizzati dei social network. Ci sono i corsi e ricorsi della storia, come diceva Giambattista Vico. Diamo la possibilità agli spettatori di scoprire fatti che magari non sapevano e comunque di porsi loro delle domande nei confronti di ciò che stanno vedendo". Uno degli aspetti più terribili della truffa come reato è che la parte lesa rischia di essere vissuta dall'opinione pubblica quasi in modo peggiore rispetto a chi commette il reato, perché noi italiani purtroppo abbiamo un "culto della furbizia" difficile da sdoganare. Molte persone ci sono cascate perché se ti viene posta una domanda in un momento in cui sei vulnerabile la risposta sarà necessariamente diversa.

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Influencer ante litteram

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Wanna: Wanna Marchi in un'immagine della docuserie

Le televendite sono il corrispettivo delle Instagram stories. Wanna è stata un'influencer ante litteram in un certo senso. È stata inoltre una televenditrice caratterizzata dalla cattiveria. Non necessariamente un talento, ma è stata fra le prime a capire che l'idea della comunicazione dell'aggressività avrebbe avuto successo. Se pensiamo a com'era la comunicazione dei media nel 1980, Wanna senza alcuno studio o preparazione ma da pura auto-didatta, di "donna della strada" quasi, è riuscita ad entrare nelle case degli italiani, e proporsi da un lato come la fustigatrice, che non ha peli sulla lingua nel chiamare gli ascoltatori "ciccioni", dall'altro ponendosi come una di loro e per questo essere accolta. Una sorta di skill da aggiungere al curriculum. Giovanni Bossetti, Manager per i contenuti italiani non fiction di Netflix, conferma la conseguenza più che l'intento dell'avvertimento di Wanna: "Ciò che emerge dalle puntate è il potere di persuasione". L'intento di una docuserie non deve essere mai di mettere in guardia gli spettatori da qualcosa ma di cercare di raccontarla nella maniera più esatta e oggettiva possibile. In Wanna ci sono vari segnali che dovrebbero parlarci ancora oggi, come i post sponsorizzati e noi sempre davanti allo smartphone. "Quando sono cresciuto io, la notizia risultava vera perché la si leggeva sui giornali, oggi perché appare su internet, a quell'epoca perché la diceva la televisione. Wanna Marchi andava in onda a tutte le ore del giorno e della notte e diventa difficile dimostrare che non sapesse come andarci" conclude Garramone.

Una mamma per amica

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Wanna: un'immagine della docuserie

Uno dei temi sviluppati nella serie è il rapporto madre-figlia fra Wanna Marchi e Stefania Nobile, perché è un legame familiare particolare e soprattutto strettissimo. Da un lato le due hanno un atteggiamento di negazione fino alla fine, per coerenza. Dall'altro lato Wanna Marchi, come dichiarano i realizzatori della docuserie, dev'essere stata talmente presa da se stessa in quel periodo che quello che contava era vendere, a qualsiasi costo. Non hanno patteggiato perché dal loro punto di vista sarebbe stata come un'ammissione di colpa, cosa che invece ad esempio Mário Pacheco do Nascimento fa. Vivono un'empatia verso se stesse che magari non provano verso gli altri, verso le vittime. Quello che emerge dalle interviste durante la visione dei quattro episodi spesso è una continua guerra in corso tra il regista e loro due. Perché se la guerra finisce, come i giapponesi citati da Stefano Zurlo nel documentario, che cosa rimarrebbe a loro due? Non si sono mai sottratte a nessuna domanda, anche quando hanno reagito male. Non hanno recepito alcun compenso e non sapevano dove sarebbe andato in onda il girato, non hanno nemmeno visto il prodotto finito prima del rilascio su Netflix. Non sono state coinvolte nella promozione perché non si tratta di una biografia autorizzata su Wanna Marchi. Non era quello l'obiettivo di Garramone e dei produttori, non volevano dimostrare una tesi ma porsi delle domande e porle agli spettatori, mentre indagavano l'Italia di quegli anni. "Un'Italia più ingenua che però viveva l'iper modernità di comprare in tv, così come oggi nel farci arrivare le cialde del caffè a casa senza scendere al supermercato. L'Italia del non politicamente corretto per quello che Wanna diceva e come lo diceva. L'Italia dal punto di vista storico rendeva mainstream il tema della dieta quando fino a vent'anni prima era un Paese che aveva problemi di denutrizione. Improvvisamente c'è un salto nel mondo del consumismo selvaggio. 'Allora si che stavamo bene' dicono i televenditori di allora. Era un'Italia selvaggia".

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Una Wanna Marchi inedita

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Wanna: una scena della docuserie

Se c'è un aspetto che ha sorpreso i realizzatori alla fine del girato, è una valutazione tecnica, la capacità di stare davanti alla telecamera. "Non semplicemente come quella frase un po' vuota 'buca lo schermo', ma l'essere sempre pronta ad una reazione. All'inizio della docuserie c'è questo giochino della penna da vendere, e non era preparato, è un piano sequenza, lei ha iniziato subito a parlare. È la capacità di stare davanti all'imprevisto durante una diretta". Si dice nella musica hip hop - ma anche nelle sitcom - di generare delle punch lines. Stefania Nobile nella vita è molto simile a come appare davanti alle telecamera, come grinta, come modo di porsi, Wanna invece si trasforma, da parlare a voce mediamente molto bassa inizia a urlare. Si illumina quando si accende la telecamera, ed è pazzesco perché nessuno gliel'ha insegnato. D'altronde come dice lei stessa ad un certo punto nella docuserie: "In questo momento, se volessi, potrei vendere anche te". D'accordo?

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