Anche quest'anno c'è un angolo di Italia alla Berlinale. Se l'anno scorso era stato La paranza dei bambini a rappresentare il nostro paese nella selezione ufficiale, quest'anno sono due i film italiani in concorso, il primo dei quali è Volevo nascondermi. Diretto da Giorgio Diritti e interpretato da un Elio Germano trasformato per l'occasione, il film racconta la storia dell'apprezzato artista Antonio Ligabue, nato in Svizzera ma vissuto in Italia sin dal 1919. Un film per il quale il produttore di Rai Cinema Paolo del Brocco ci ha rivelato: "è stato facile scegliere di contribuire a questo tipo di progetto, perché è la storia di un grande artista, di un essere umano complesso, ma anche una storia d'inclusione."
Ligabue e l'attualità italiana
Sul concetto di storia d'inclusione si sofferma anche un altro dei produttori di Rai Cinema, Carlo degli Esposti, che spiega come siano stati felici di prender parte a questo progetto, perché "è stata un'occasione per rappresentare come l'Italia di quel periodo, molto più povera di com'è adesso, aveva la capacità di accogliere una persona come Ligabue e farla crescere e diventarne una grande bandiera." Un messaggio importante e attuale, sottolineato dal modo in cui il film di Giorgio Diritti riesce a raccontare non solo l'artista, ma anche il contesto in cui si muoveva e l'umanità che lo circondava, diventandone quasi uno specchio vivente.
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Il mondo di Antonio Ligabue
Un mondo di Ligabue che è familiare al regista Giorgio Diritti. "I luoghi di Ligabue" ha spiegato il regista "sono quelli del territorio non molto lontano da casa mia, quella parte del territorio della pianura padana che ha un suo sapore particolare, piatto dal punto di vista visivo, ma terra di grandi scrittori come Zavattini." Ma la curiosità per il personaggio nasce perché considera la sua singolarità utile per parlare alla gente. "Ha sempre lottato nella vita" ha detto Diritti "ha cercato di affermare la sua volontà di essere uomo, di essere riconosciuto, e l'ha fatto tramite l'arte." Ci è riuscito, visto che ancora oggi parliamo di lui, e possiamo considerarlo un grande traguardo considerando il punto di partenza di "una vita ai margini, rifiutato dai genitori, espulso dalla Svizzera dove è nato, come tanti migranti che arrivano in Europa dal sud del mondo."
Anche per questo la sua storia è attuale e il regista ha "meditato molto su quale fosse la strada per raccontarlo", colpito dallo stupore e l'emozione con cui gli veniva raccontato da chi l'aveva conosciuto, che parla di un uomo che era contemporaneamente anche un bambino, "che ha trovato la sua dimensione più concreta nella sua attività artistica." Quel suo mondo è stato raccontato insieme al direttore della fotografia Matteo Cocco, con la scelta di "usare cromaticamente i toni dei quadri di Ligabue, che sono molto saturi e con una personalità accesa." Dal punto di vista narrativo, invece, si è scelto di raccontare "un uomo preda di un grande straniamento", come ha spiegato la sceneggiatrice Tania Pedroni, "di raccontare la difficoltà di comprensione di ciò che gli stava capitando." Per questo è importante anche l'uso del dialetto, per rendere il suo senso di smarrimento nel nuovo contesto italiano.
Diventare Ligabue: Elio Germano trasformista
Un ritratto di quell'Italia e di quel contesto storico che accompagna ma non nasconde l'incredibile lavoro fatto da Elio Germano per tratteggiare le diverse fasi della vita di Antonio Ligabue che è stato chiamato a rappresentare. Un lavoro di ricerca importante e difficile perché, ha spiegato l'attore, "il personaggio originale ha lasciato poco in video, all'epoca non produceva denaro e non era interessante da filmare. Abbiamo in tutto una decina di minuti di materiale video che lo riguarda." Materiale a cui Germano si è ispirato molto, concentrandosi però anche su foto e registrazioni della sua voce, oltre, soprattutto, ai racconti di prima mano di chi lo aveva conosciuto direttamente. Anche lì, però, è stato necessario un approfondimento importante, un'indagine per eliminare quelli che si spacciavano per suoi conoscenti pur non avendolo mai incontrato. Tante fonti diverse che lo hanno aiutato a "elaborare un mio immaginario del personaggio"_.
È andato insomma alla fonte, senza volersi confrontare con le versioni precedenti del personaggio. Il tutto è iniziato dal lavoro sull'esteriorità: "non sarei stato capace di recitare una deformità fisica", di mantenerla con continuità per tutta la durata delle riprese. Ed è per questo grato a Lorenzo Tamburini e Aldo Signoretti, che hanno curato trucco prostetico e acconciature, dandogli "una chiave interpretativa" e permettendogli di "non recitare una deformità, ma esserlo". Da Ligabue Germano ha imparato "una lezione di umanità" per la sua vitalità e voglia di essere se stesso senza scendere a compromessi, senza "cambiare la sua pittura per piacere al pubblico." Il tutto affrontato con rispetto e umiltà nei confronti di Ligabue. "Spesso il cinema usa un personaggio, lo schiaccia in una storia per fare un film a tesi" ha concluso Elio Germano, "ma la nostra intenzione è stata di fare un passo indietro per rendere tutta la complessità del personaggio, con ogni sua sfumatura."
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