Volevo nascondermi sarebbe dovuto uscire il 27 febbraio, lo farà invece il 4 marzo dopo il rinvio ricevuto. Nel mentre il suo protagonista Elio Germano ha vinto un meritato Orso d'argento come miglior attore a Berlino 2020 per l'interpretazione dell'artista Antonio Ligabue, un "ulteriore riconoscimento per la sua folle e sofferente vita". Quella del pittore è stata infatti un'esistenza sofferta che il film diretto da Giorgio Diritti cerca di raccontare in ogni fase, in modo non lineare ma completo, con l'ausilio dell'ottimo lavoro prostetico per rendere i momenti diversi della sua vita.
La fascinazione per Ligabue
Figura tormentata, sofferta, in difficoltà nei confronti della vita. È una delle cause della fascinazione per l'artista che ha spinto il regista Giorgio Diritti a occuparsi di lui, dopo che era stato raccontato nello sceneggiato interpretato da Bucci: "È un uomo che ha subito molto nel corso della sua vita, che è partita già in salita con l'abbandono da parte della madre e l'adozione in una famiglia che l'ha accolto più per necessità economiche che per affetto." Così il regista ci parla di lui, soffermandosi sulle varie fasi di una vita che è proseguita all'insegna di ostacoli e problemi: "soffriva di grosse problematiche fisiche che oggi sono identificate da malattie specifiche, che lo rendevano una persona affaticata nei confronti della vita, che si è attaccata alla possibilità dell'espressione artistica con tutta l'energia che aveva e ne ha fatto la sua vita e la sua identità."
Parole che sottolineano la forza d'animo di Antonio Ligabue, di "una persona che si sarebbe potuta suicidare e ha continuato a lottare e voler conquistare il mondo". Una forza d'animo che gli ha permesso di superare quel disagio fisico che il regista si è sforzato di rendere reale e concreto. "La sua storia" ha continuato il regista di Volevo nascondermi "è una favola in cui ognuno di noi può trovare dei punti di riferimento importanti."
Volevo nascondermi, parla Elio Germano: "Da Ligabue ho imparato una grande lezione di umanità"
Il trucco c'è e si apprezza
Trasformare letteralmente Elio Germano in Antonio Ligabue è stato un impegno importante, che sottolinea l'incredibile lavoro di truccatori e parrucchieri, di cui abbiamo parlato anche nella nostra recensione di Volevo nascondermi. Un'operazione importante anche ai fini narrativi, perché utile a trasmettere il disagio del prossimo nei confronti dell'artista, nonché aiutare il suo interprete nel percepire la sua situazione di vita. D'altra parte "la prostetica è un'eccellenza del nostro paese" ci dice Germano, che sottolinea come siano stati i primi a usarla con tale importanza, considerando che il film è stato girato due anni fa e quindi prima di un altro grande esempio degli ultimi mesi. "È stato un grande sacrificio" ha spiegato ancora l'attore, "ma è stato quello che mi ha fatto capire che avrei potuto fare il film, mi ha dato la struttura per comunicare cosa voglia dire essere brutto, rachitico e matto."
Una trasformazione che ha influito anche sul lavoro degli altri attori che hanno diviso la scena con Elio Germano, ai quali l'interprete di Ligabue diceva "non pensate che io sia il protagonista", perché se è vero che è il personaggio principale del film, non è altro che "l'ultima comparsa delle vite di chi gli stava intorno". Ciononostante l'artista è riuscito a esprimere la carica artistica che aveva dentro ed è il produttore Carlo Degli Esposti a sottolineare quanto questo sia incredibile: "è vissuto in una società povera, ma inclusiva. Ligabue non sarebbe riuscito a rappresentare la sua arte in una società che emargina ed è importante ricordarlo in questi tempi."
Una vita fatta di ostacoli
Tempi in cui è difficile venire accolti in un contesto sociale nuovo e diverso, come è accaduto a Ligabue. "Lui è stato più accolto di quanto si riesca a fare oggi" ha confermato la sceneggiatrice Tania Pedroni, "pensate a chi arriva dove non è aspettato, non è voluto, non è accolto." Anche di questo hanno voluto raccontare gli autori, seguendo uno sviluppo narrativo non lineare per rappresentare la figura, e la vita, di Antonio Ligabue. Si è preferito farsi "accompagnare nella sua vita cercando di aderire ai suoi stati emotivi in base a ciò che viveva" ci ha spiegato ancora la sceneggiatrice che ci ha tenuto a indicare come sia comune a tutti noi una "ricerca del proprio posto nel mondo, anche per vite meno segnate da eventi estremi come è stata la sua."
Eventi che è stato possibile ricostruire attraverso un grande lavoro di ricerca che ha aiutato anche la prova di Elio Germano, attraverso piccoli video disponibili e le persone che lo hanno conosciuto. L'attore ci parla infatti di "un'aneddotica straripante" e storie al limite del verosimile che li ha fatti sentire piccoli. "Abbiamo fatto un passo indietro" ha spiegato "e fatto sì che Ligabue e il suo mondo si raccontassero da soli" senza farne un ritratto pietistico ma cercando di "riprodurre la complessità dell'essere umano" e quel messaggio importante di quanto si possa fare del coraggio la propria chiave di esistenza.
Il territorio e l'immagine
Fondamentale da questo punto di vista l'uso del dialetto, sia per rappresentare "la verità di quello che era il contesto sociale dell'epoca", ha detto Giorgio Diritti, "sia per rendere più palese il disagio di un forestiero che arriva in un nuovo territorio". Una scelta che è stata fatta in maniera naturale, perché "le lingue sono uno degli elementi di identità delle comunità" e il loro uso contribuisce a integrare, o escludere, un individuo. D'altra parte il territorio, che ha "accolto e nutrito il film" è molto presente nell'opera dell'artista, nei suoi quadri che raccontano la sua esistenza e le sue difficoltà, "uno specchio dell'ambiente in cui si trovava", come ha dichiarato Diritti che ha continuato "questo mi ha fatto immaginare che si nutrisse di quello che era intorno a lui. Allo stesso modo l'uso del grandangolo è stato naturale per far percepire grandi spazi".
Scelte istintive come quelle fatte insieme al direttore della fotografia per luci e colori, per far sì che richiamassero quanto visto nei quadri di Ligabue, "per far sì che fossero in comunicazione con la sua dimensione emotiva". Scelte fatte per raccontare l'uomo e l'artista, che il regista percepisce come entità unica alla quale Elio Germano ha saputo dare corpo, facendone "un inno alla fragilità che è la parte più importante di un essere umano, anche se in quest'epoca storica va così poco di moda."