Quarantaquattro anni, sette film e sei nomination agli Oscar. Questo, almeno dal punto di vista numerico, è Paul Thomas Anderson, un regista che, oltre ad esibire un talento evidente e una grande capacità narrativa, si concede anche il lusso di essere attraente tanto quanto i suoi protagonisti. Così, presentandosi con la solita calma serafica e un sorriso dolce e rassicurante, si mette a disposizione della stampa romana per raccontare il suo ultimo Vizio di forma, distribuito al cinema da Warner Bros dal 26 febbraio.
Tratto dal romanzo omonimo di Thomas Pynchon, il film si assume il compito di portare sullo schermo un autore conosciuto per le sue costruzioni visionarie spesso impossibili da concretizzare in immagini. A detta di molti, pero, questo romanzo è il più cinematografico di tutti, anche se i molti personaggi e una vicenda dal sapore onirico non ha reso vira facile ad Anderson. Ma per l'autore di Magnolia, Il petroliere e The Master nulla sembra impossibile. Nemmeno tornare a lavorare con Joaquin Phoenix e "piegarlo" ad un'altra trasformazione fisica ed emotiva.
Pynchon, autore fantasma
L'adattamento di un romanzo per il grande schermo presenta sempre le sue incognite. Se poi l'autore si rifiuta di collaborare con il regista o dare anche solo un segno, di assenso o dissenso che sia, l'impresa si fa ancora più ardua. Questo è quanto capitato ad Anderson, che ha dovuto affrontare il silenzio ostinato di Pynchon rispetto al desiderio di portare il suo romanzo al cinema. "Non ho mai pensato che sarebbe stato difficile adattare questo romanzo visto che, rispetto agli altri, si è presentato come il più fattibile - ha dichiarato Anderson - Nella scrittura della sceneggiatura, però, mi sono lasciato guidare solamente da un elemento, ossia dalla consapevolezza di dovermi confrontare con un uomo e la missione che vuole portare a termine a tutti i costi. Per quanto riguarda i rapporti con Pynchon sono stati praticamente nulli e questo per sua volontà. In un certo senso dobbiamo far finta che non ci sia. In realtà potrebbe essere chiunque, una donna o perfino una ragazzina. Oppure potrebbe avere molte identità diverse. L'unica cosa che conta è il libro e la possibilità di fargli avere una seconda vita. Infondo, mi piacerebbe poter fare come lui e costruirmi un'aura di mistero. D'altronde è il suo lavoro che parla per lui."
L'età dell'innocenza perduta
Nel libro, come nel film, c'è questo forte senso di malinconia per qualche cosa che è terminato irrimediabilmente e dal quale non si può tornare. In particolare il 1969 rappresenta l'ultimo baluardo della libertà, un periodo in cui era possibile lasciare che la vita andasse nella sua direzione lasciandosi trascinare da questa. Ma oltre questa visione esistenzialista c'è soprattutto il desiderio di raccontare l'innocenza perduta di un paese, che oggi si riconosce profondamente invecchiato. " Sono ancora un po' stanco per il viaggio e non ricordo bene le parole esatte ma nel romanzo c'è una frase precisa in cui si fa proprio riferimento a questo concetto di innocenza perduta. E, tra l'altro, credo che quegli anni anni siano stati gli ultimi in cui essere sentimentale sembrasse fico. Oggi, ad esempio, non è più cosi ed è un peccato. Ecco, in questo senso il nostro paese ha perso la sua innocenza."
Dirigere gli attori
Si sono incontrati per The Master e, evidentemente, la loro relazione deve aver funzionato nel migliore dei modi, visto che i due, ossia Paul Thomas Anderson e Joaquin Phoenix, hanno deciso di raddoppiare e tentare la sorte con un altro film. In un certo senso si tratta di una coppia misteriosa, una di quelle basate su dei meccanismi molto personali che rimangono invisibili ai più ma che, evidentemente, funzionano. Anche se, ad essere onesti, si presuppone che molto del merito vada all'atteggiamento bonario ma deciso di Anderson. "No, non credo di aver mai dato dei consigli o delle direttive precise a Joaquin. Più che altro abbiamo parlato, buttato giù delle idee sul carattere del personaggio e il suo aspetto fisico. Poi siamo passati alla musica, alle foto e a dei documentari con cui entrare nell'atmosfera dell'epoca che volevo ricreare. A quel punto, però, ho lasciato che facesse da solo e trovasse la sua connessione con Doc."
Nel corso della sua carriera Anderson ha anche dimostrato di avere lo sguardo giusto per scegliere i così detti comprimari o, nel suo caso, l'immensa umanità che ha popolato set e film. Non fa eccezione nemmeno Katherine Waterston, scelta per interpretare Shasta, la giovane ex ragazza di Doc, nonostante sia un volto poco conosciuto al grande pubblico. "Ho pensato a lei mentre leggevo il libro, l'avevo vista in un film e mi ero riproposto di lavorare insieme. Così l'ho convocata per il provino e quando l'ho vista ho capito che si trattava della persona giusta. In modo particolare ha un volto e un corpo perfetto per rappresentare una ragazza degli anni settanta." Ma, alla fine di tutto, come riesce Anderson a rendere qualsiasi attore adatto al suo universo? "Il segreto è tagliare tutte le parti brutte, perche voi non avete idea di quanto girato sia realizzato male. Al di là di tutto, io non penso di avere un talento speciale a plasmare gli attori, credo piuttosto nel partire da una base forte, ossia una sceneggiatura scritta bene."