Vivere non è un gioco da ragazzi, la recensione: non tutte le fiction riescono col buco

Sensibilizzare si può, ma non si sta facendo bene in Vivere non è un gioco da ragazzi, la nuova fiction Rai già tutta disponibile su RaiPlay e in onda ogni lunedì in prima serata su Rai1. Diretta da Rolando Ravello e interpretata da Stefano Fresi e Nicole Grimaudo, mette al centro il tema delle droghe per divertimento.

Vivere non è un gioco da ragazzi, la recensione: non tutte le fiction riescono col buco

Bene ma non benissimo. Iniziamo citando una canzone di Shade per rimanere in area giovani la recensione di Vivere non è un gioco da ragazzi, la nuova fiction disponibile su RaiPlay e ogni lunedì in prima serata su Rai1. Scritta da Fabio Bonifacci e diretta da Rolando Ravello, la fiction si iscrive nel filone del servizio pubblico che vuole sensibilizzare le famiglie riunite a guardarla su un tema che riguarda tanto i genitori quanto e soprattutto i figli adolescenti, ovvero quello delle droghe leggere da divertimento. Quelle che prendiamo una sera per sballarci con gli amici ma possono anche portare a conseguenze catastrofiche. Una sequela di eventi messa in moto, il proverbiale effetto farfalla, come dice all'inizio il voiceover del protagonista di questa storia, Lele (un emergente e bravo Riccardo De Rinaldis Santorelli). Ecco, già da queste prime battute, recitate con musica enfatizzata in sottofondo, capiamo di trovarci di fronte a un prodotto che dice di voler sfuggire alla retorica ma invece purtroppo ci finisce con tutte le sneakers.

Essere adolescenti oggi

Francesco Matrorilli Riccardo De Rinaldisgiulia Bertini Dsc3559 Copia
Vivere non è un gioco da ragazzi: una scena della serie Rai

Nella scrittura e nella messa in scena Vivere non è un gioco da ragazzi vuole davvero parlare propriamente agli spettatori adulti, che è un po' come se se la cantassero e se la suonassero senza voler davvero provare a dialogare con gli adolescenti. I corrispettivi sullo schermo - rappresentati da Stefano Fresi, Nicole Grimaudo e Lucia Mascino, a cui si aggiunge un Claudio Bisio sopra le righe - invece uno sforzo provano a farlo, scontrandosi inizialmente col muro che loro stessi hanno costruito più o meno consapevolmente. L'ambientazione è diversa dal solito, la Bologna di oggi: qui Lele, figlio di operai che grazie alla propria bravura nelle materie classiche, si ritrova a frequentare un liceo per ricchi figli di papà e ha una cotta per la compagna Serena (l'altrettanto emergente Matilde Benedusi), la più popolare della scuola e parte di quell'élite apparentemente irraggiungibile. Due Dan Humphrey e Serena Van Der Woodsen nostrani insomma (gli piacerebbe) i cui mondi, anche socialmente e culturalmente diversi, si scontrano dando vita ad una relazione e ad un'amicizia pericolose. Questo perché in seguito alla cotta, Lele si ritrova non solo a provare le "paste" ma anche a darle in giro. In realtà fin dai primi minuti capiamo che è possibile che le cose siano andate diversamente, e che quella terribile tragedia sia stata causa di un'altra sequela di eventi, e questo utilizzare in modo quasi ricattatorio verso lo spettatore l'espediente delle droghe per divertimento lascia un po' perplessi.

Vivere non è un gioco da ragazzi, regista e interpreti: "Questa fiction parla ai giovani e anche ai genitori"

Essere genitori oggi

Nicole Grimaudogiulia Bertini Dsc0990 Copia
Vivere non è un gioco da ragazzi: Nicole Grimaudo in una scena della serie Rai

Anche gli adulti della fiction hanno il loro bel da fare, e questo emerge soprattutto attraverso il tema della disparità sociale presente in entrambe le fasce d'età, grazie all'escamotage della scuola d'élite. I genitori di Lele hanno problemi economici che cercano in tutti i modi di non far pesare sul figlio, perché se ne vergognano (in realtà soprattutto il padre, che sarà quello che più dovrà aprirsi se vorrà un dialogo col figlio). Dall'altro lato della medaglia c'è la famiglia di Serena, con un padre possibilmente bipolare e una madre che è tanto attenta sul lavoro, dove è stata la prima donna ad ottenere tanti risultati e potrebbe candidarsi a sindaco, quanto disattenta in casa, sotto al proprio naso: il personaggio di Lucia Mascino dovrà imparare ad aprire gli occhi ma soprattutto a dire la verità per poterla ricevere. Parallelamente si dipana il mistero su cosa sia davvero successo quella fatidica notte al compagno di Lele e Serena.

Rde Rinaldis Acosmo Mbenedusigiulia Bertini Dsc5462 Copia
Vivere non è un gioco da ragazzi: una scena della serie Rai

Viene così messo in scena il disagio giovanile di una generazione che riceve troppi input giornalieri: ad un certo punto infatti il personaggio della Grimaudo, particolarmente dolce e veritiera, dirà "Che mondo difficile che vi abbiamo fatto", alla sorellina di Lele, sempre attaccata all'iPad a vedersi Friends altrimenti le compagne di classe la escludono. Un disagio che a volte si prova a dimenticare attraverso lo "sballo" e che altre volte ci portiamo dentro anche da adulti. Purtroppo però non bastano i dialoghi in cui si dice "bro" e "pasta", non bastano le scene in cui si ascolta a profusione la musica di Ariete, non basta un capello ossigenato per fare un prodotto che parli davvero ai giovani, come ad esempio hanno fatto SKAM o Prisma. Altrimenti si finisce ad imitarli malamente in un pasticciaccio che alla fine non arriva davvero a nessuno dei due target preposti. O forse arriva troppo a quello adulto, che parla per frasi fatte e quasi per sentito dire. In realtà avremmo dovuto iniziare la recensione con "male ma non malissimo", a ripensarci.

Conclusioni

Di buoni intenti ma scarsa riuscita abbiamo parlato nella recensione di Vivere non è un gioco da ragazzi, una fiction che ufficialmente si vuole tenere lontana dalla retorica e dai (pre)giudizi ma invece purtroppo ci finisce dentro, proponendo un prodotto lontano dal realismo adolescenziale e più vicino a quello genitoriale. La disparità sociale utilizzata come fil rouge funziona ma è troppo insistita ed enfatizzata, così come alcuni dialoghi e caratterizzazioni.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
4.5/5

Perché ci piace

  • Gli interpreti – sia quelli più conosciuti che gli emergenti – tutto sommato funzionano.
  • La sensibilizzazione su un tema attuale come le droghe per divertimento…

Cosa non va

  • … che però si perde dietro ad una retorica di facciata.
  • Dialoghi e messa in scena scimmiottano troppo il linguaggio giovanile senza farlo proprio.
  • La fiction è troppo diretta ai genitori e poco ai giovani alla fine.