Recensione Fame chimica (2004)

Fame chimica è un piccolo film che riproduce una realtà che sta di fianco a coloro che vivono nelle metropoli, lasciando comprendere che talvolta anche quando si hanno vent'anni, si può essere già "vecchi" e fuori dal giro.

Vita da panchina

Fame chimica, fame chimica,la sento per le strade,vedo i sintomi in città...

Le parole del rap di Luca "Zulu" Persico, che in gergo indicano quella sensazione che si ha dopo avere fumato una canna, sono la fotografia del gruppo di ragazzi che si incontrano ogni giorno in una piazzetta della Barona a Milano. Un'altra storia di "gioventù bruciata" vi chiederete. Non proprio. Fame chimica girato a quattro mani da Paolo Vari e Antonio Bocola è un racconto di quartiere, microcosmo in cui amicizia e tensione convivono, e dove i problemi di tutti i giorni sono risate ma anche montagne apparentemente insormontabili. Manuel e Claudio, amici per la pelle, sono i due volti della piazza Yuri Gagarin. Il primo vive sul filo del rasoio, spacciando fumo, convinto che la sua vita può essere solo quella; il secondo ha un lavoro pesante e male retribuito ed è insoddisfatto di ciò che fa ma non vuole lasciarsi coinvolgere in loschi traffici. Mentre la tensione sale per la mobilitazione di alcuni negozianti di zona, stufi di avere problemi con immigrati e droga, l'amicizia fra i due sembra incrinarsi per una ragazza, Maja, che si introduce fra loro, facendo innamorare prima Claudio, e poi flirtando con Manuel che la vuole aiutare a trovare i soldi per andare a Londra a vivere. Il valore di un'amicizia, si sa, è grande come il mare, e solo un evento dirompente può distruggerla.

Fame chimica è un progetto che nasce da un documentario girato dagli stessi registi e si è trasformato in un film grazie al supporto di tutti quelli che ci hanno lavorato, che per produrlo hanno formato una cooperativa. Questo aspetto è stato molto importante per la riuscita del film poiché ha creato un legame stretto fra gli attori, benchè non tutti provenienti dalla periferia milanese. E così le immagini, che vediamo scorrere sullo schermo, sono naturali, semplici, mai artefatte, come spesso capita nel cinema italiano giovanilistico. Il climax di tensione che minuto dopo minuto cresce all'interno della piazza è come un metronomo, un timer, che prima o poi porterà a un' "esplosione" e la fotografia, granulosa come la "polvere d'angelo" che gira per le mani dei protagonisti, crea un grigiore e un realismo non comune.

Fame chimica, dunque, è un piccolo film vivo in tutti i suoi particolari, e riproduce una realtà che sta di fianco a noi che viviamo nelle metropoli (se così possiamo definire Milano), lasciandoci comprendere che talvolta quando si hanno vent'anni, si può essere già "vecchi" e fuori dal giro, pronti ad affrontare il duro corso della vita.