La prima serie originale di History Channel, Vikings, creata da Michael Hirst, stessa mente dietro a un'altra serie in costume, I Tudors - Scandali a corte, ha fatto conoscere al grande pubblico la storia del leggendario re vichingo Ragnar Lothbrok (Travis Fimmel), uomo ambizioso che, da semplice contadino, è riuscito a diventare, nel IX secolo, re delle moderne Svezia e Danimarca. Grazie a una narrazione concentrata sopratutto sui personaggi, le cui imprese sono raccontate nei libri di storia ma senza entrare mai nella loro mente, lasciando ampia libertà agli sceneggiatori di immaginarne pensieri e motivazioni, Vikings non è una semplice serie storica, ma un'opera che fonde con abilità letteratura e leggenda, facendo dialogare la mitologia norrena con Shakespeare.
Dopo due prime stagioni ben costruite, in cui l'ascesa di Ragnar al potere è il fulcro della narrazione, la terza si è concentrata soprattutto sul rapporto del guerriero con il monaco Athelstan (George Blagden), mostrando il cristianesimo da un punto di vista esterno, facendosi più riflessiva e filosofica, con i cardini della religione cristiana messi costantemente a confronto, anche visivamente, attraverso visioni e sogni, con gli Dei nordici. Uno spunto interessante, ma che forse ha tolto un po' di ritmo al racconto, prediligendo i dialoghi alle scene d'azione. La quarta stagione segna un punto di rottura con le precedenti: divisa in due parti, da dieci episodi ciascuna, raddoppiando così il numero delle puntate, questo nuovo capitolo di Vikings ha reinventato completamente la serie, sfoltendo molti dei suoi protagonisti in favore di facce nuove, a partire dai cinque figli di Ragnar Lothbrok, diventati a tutti gli effetti le nuove colonne portanti della storia.
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Onora il padre e la madre
Come in tutte le tragedie degne di questo nome, i grandi drammi familiari sono spesso l'origine dell'azione, portando a intrighi, lotte e vendette. La quarta stagione di Vikings pesca a piene mani dalla letteratura, fondendo il Macbeth del Bardo a un immaginario pop, ispirandosi visivamente a serie come Il trono di spade, curando però nei minimi dettagli costumi, riti e usi dei vichinghi, ricordando al pubblico che si sta comunque guardando una serie di History Channel.
Dopo un'ascesa che sembrava inarrestabile, Ragnar è invecchiato e, soprattutto, per la prima volta nella sua vita, è stato sconfitto. La battaglia contro la città di Parigi, che ha potuto contare anche sull'aiuto di suo fratello Rollo (Clive Standen), che lo ha tradito per una seconda volta, lo ha piegato, spingendolo ad allontanarsi dal suo popolo, lasciando in questo modo Kattegat incustodita, male amministrata dalla moglie, la regina Aslaug (Alyssa Sutherland), madre dei suoi quattro figli, Ubbe (Jordan Patrick Smith), Hvitserk (Marco Ilso), Sigurd (David Lindström) e Ivar (Alex Hogh), mal visti da Lagertha (Katheryn Winnick), sua prima moglie, e Bjorn (Alexander Ludwig), figlio avuto dal precedente matrimonio.
Il sangue è una costante in Vikings: quello che lega i membri di una stessa famiglia e quello versato, elementi che più volte coincidono, a dimostrazione di come, nonostante le figure chiave che hanno fatto la storia siano mosse dall'ambizione e dal desiderio di conoscenza, restano comunque uomini, i cui impulsi e desideri spesso prevaricano l'obiettivo politico e strategico. È questo che rende accattivanti i personaggi della serie creata da Hirst: non sono figure di carta, ma uomini fatte di carne, pieni di difetti e debolezze, esseri umani come tutti.
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L'eredità di Ragnar, aspettando il grande antagonista di Vikings 5 interpretato da Jonathan Rhys Meyers
Inevitabile dunque non immedesimarsi nei personaggi, facendo il tifo per uno invece che per un altro, anche quando la storia uccide le nostre speranze (senza fare spoiler, chi non avrebbe voluto vedere un finale diverso per lo scontro tra re Aellle e Ragnar? Purtroppo i fatti sono quelli, anche se fino all'ultimo si spera in una rivisitazione della storia da parte degli autori, come nel film Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino), soprattutto quando vengono delineate figure accattivanti come Floki, l'ingegnere navale e guerriero interpretato da Gustaf Skarsgård, perennemente in bilico tra fede e scienza, tra razionalità e impulsività, e per questo forse il più umano di tutti.
Grazie all'abilità degli sceneggiatori, il passaggio di testimone tra Ragnar e i suoi figli è quasi indolore, soprattutto per merito di Ivar "Il Senza Ossa", il più giovane dei figli del re vichingo, svantaggiato nel fisico ma dalla mente brillante, che avrà parecchio da dire nella quinta, e ultima serie (anche questa divisa in due parti da dieci episodi l'una), dovendosi scontrare con un nuovo carismatico antagonista, il vescovo guerriero Heahmund, interpretato da Jonathan Rhys Meyers (che con Hirst aveva già lavorato proprio in I Tudors, dando volto a una versione più sensuale di re Enrico VIII d'Inghilterra), personaggio introdotto negli ultimi minuti del finale di stagione (andato in onda negli Stati Uniti ieri e in Italia disponibile su TIM Vision da oggi), che, in una manciata di secondi, fa subito capire allo spettatore che c'è ancora molto da dire sulla catena di eventi scatenata da Ragnar Lothbrok.
Movieplayer.it
3.5/5