Recensione La radice del male (2006)

Silvana Zancolò firma un thriller psichedelico con un tocco noir e un retrogusto che, se assaporato bene, ricorda un Dario Argento prima maniera.

Verdi allucinazioni

Piante che alleviano dolori, che riportano alla luce frammenti di ricordi repressi (volutamente?) e lontani. Piante che fanno tornare il buon umore, e un pizzico di speranza. È illusione, allucinazione o realtà?
Al centro della vicenda, Andrea Spiegelman (Zora Kerova), una pittrice segnata da un brutto incidente che le porta via metà volto e le cancella la memoria. Si rifugia così, insieme a suo marito Valerio (Giancarlo Previati), in una villa fuori mano lasciatagli in eredità dallo zio defunto.
Un'enorme e splendida serra tropicale, situata nel giardino della villa, "cattura" da subito l'attenzione della pittrice. Qui lo zio coltivava le più svariate tipologie di piante psicoattive e dalle proprietà stupefacenti, alcune delle quali sconosciute alla scienza. Andrea non riesce a far a meno di provarle una ad una sulla sua pelle, dapprima per combattere il dolore al volto, poi per ritrovare l'ispirazione e riuscire a dipingere di nuovo. Entrerà in un mondo pericoloso dove il confine tra realtà ed immaginazione non sarà più così netto.

Questo lavoro, interamente girato in digitale, rappresenta un ulteriore passo avanti nel cinema di genere italiano, che ultimamente sta facendo timide ricomparse, grazie a registi freschi e volenterosi, come Silvana Zancolò, che dirige questo thriller psichedelico, con un tocco noir. E un retrogusto che, se assaporato bene, ricorda un Dario Argento prima maniera.
Al suo primo lungometraggio, dopo una serie di corti presentati a diversi Festival, questa regista emergente dimostra di avere tante carte da giocare, ed un'ottima capacità evocativa nella costruzione delle scene. Le sequenze delle allucinazioni sono una piacevole visione, con effetti digitali gradevoli, ben fatti, che non disturbano né creano una patina di finzione, come troppo spesso succede. Non a caso la società che ha curato gli effetti speciali è la Ubik-Visual Effect, leader degli effetti digitali televisivi e cinematografici italiani, nonché vincitrice nel 2004 del David di Donatello, per il film Cantando dietro i paraventi di Ermanno Olmi.

Non è di certo un film-passatempo, bensì un prodotto che richiede un pizzico d'attenzione in più, rispetto agli standard che vanno per la maggiore. Volutamente a sfondo psicologico, ce la mette tutta per essere inusuale. E l'esito è buono. Dopo una prima parte zoppicante e un po' lenta, il film prende ritmo man mano che ci si avvicina alla fine, dove sono concentrate, una dopo l'altra, tutte le principali scene di impatto. È qui che la regista rivela tutta la sua forza e le sue sorprendenti potenzialità.

La scelta di Zora Kerova (star del cinema horror italiano degli anni '80) è una finezza che merita d'esser segnalata (una piccola chicca, come si suol dire). Rivederla farà venire ai vecchi appassionati un "brividino" sulla schiena e un pizzico di nostalgia dei tempi che furono.