Sarà anche svanita la rabbia di un tempo, ma Marco Bellocchio non ha perso un grammo della sua energia e oggi, durante la conferenza stampa di presentazione della nuova versione di Nel nome del padre, il film del 1971 che il cineasta piacentino ha scelto di rielaborare e alleggerire per festeggiare l'assegnazione del Leone d'oro alla carriera, ne ha avuto per tutti. A qualche ora dalla cerimonia di premiazione, che si terrà in Sala Grande alle 17:00, il regista si è espresso a tutto campo su politica e arte, rivolgendo più di un pensiero al collega che gli consegnerà il premio, quel Bernardo Bertolucci amico e rivale, rispettato e invidiato e ora, dopo tanto tempo, ritrovato. Non poteva esserci modo migliore per celebrare il prestigioso riconoscimento, la cui consegna sarà seguita dalla proiezione di Marco Bellocchio. Venezia 2011, eccellente corto diretto da Pietro Marcello e poi da Nel nome del padre, dramma grottesco, ambientato in un collegio religioso, in cui il protagonista è un giovane studente che sostiene con fermezza la nascita di una società basata sulla repressione.
Signor Bellocchio, a rivedere oggi Nel nome del padre si notano idee e pensieri che erano propri del '68, nonostante il film fosse ambientato nel 1958... Marco Bellocchio: Quando concepii il film c'era già la crisi del '68 e questo spostare il tempo nel passato è stata un'operazione voluta. L'ho scelto anche per questo, perché sentivo che potesse essere ancora rielaborato, c'erano elementi ideologicamente soffocanti e ho sempre creduto che le immagini potessero essere più libere, accompagnate da un ritmo più coinvolgente. Abbiamo fatto molti tagli, piccoli e non, anche se il senso del film, la sua provocazione, la disperata ribellione, è rimasto inalterato. Solo che adesso è più bello.
E' curioso notare come la versione originale del film spaccò l'opinione pubblica proprio a Venezia, quando fu presentato al contro-festival. Cosa è rimasto dell'esperienza politica di quegli anni? Marco Bellocchio: Di quei decenni non è rimasto nulla, ma non è che il presente abbia tradito il passato. La politica aveva un peso diverso. Essere di sinistra significava parlare in un modo molto corretto rispetto alle ideologie. Allora c'era un'ANAC combattiva, schierata col PCI e una mostra, diretta da Gianluigi Rondi che si contrapponeva a ciò. C'era un festival e un anti festival. Erano tempi con apparenti contraddizioni. Ad esempio un grande regista come Carmelo Bene partecipò al festival di Rondi. Sono cose che non si possono spiegare, fare paragoni non ha alcun senso.Quanto è importante per lei che a consegnarle il Leone d'Oro sia Bernardo Bertolucci? Marco Bellocchio: Mi emoziona e mi commuove. Con Bernardo ci hanno accomunato tante cose, e tante sono le differenze fra noi, ma quando arrivai a Roma, il suo mondo, le sue conoscenze, mi permisero di ambientarmi. E' chiaro che le sue immagini sono diverse dalle mie, ma per qualche motivo lo sento misteriosamente vicino. Una vicinanza affettiva. All'epoca c'era effettivamente una rivalità, ci fu una rivalità e forse provavo anche una certa invidia. Bernardo stava ottenendo grande successo in tutto il mondo, quando io presentai Nel nome del padre, lui aveva già firmato Ultimo tango a Parigi, ma con il passare del tempo ci siamo ritrovati. In realtà mi sento ancora un non riconciliato, ma dopo tanti anni verso la rabbia provo una certa diffidenza.
E il fatto che il premio arrivi da un festival italiano lo considera un privilegio ulteriore? Marco Bellocchio: Certo, sarei un pazzo a dire il contrario. Poi quello che significa questo premio l'ho già detto e lo ripeterò ancora. E' un riconoscimento a una carriera in cui ho cercato di essere fedele alle mie idee, alle mie immagini, pur non essendo lo stesso di prima. Io credo nei cambiamenti, credo che la gente possa cambiare. Questo è un Leone alla carriera e potrebbe essere una ripartenza per un futuro che spero sia abbastanza lungo.
Quindi non lo considera una sorta di risarcimento per alcuni premi che le sono sfuggiti d'un soffio? Marco Bellocchio: No, il risarcimento implica un sentimento di risentimento che non provo proprio. I miei film sono andati tutti per conto loro e pensare che se avessero ricevuto dei premi, avrebbero ottenuto maggior successo non ha alcuna importanza. Ad onor del vero, bisogna dire che l'istituzione non mi è mai piaciuta ed è logico che mi abbia ripagato così. C'è una coerenza in questo. Non posso pensare di ricevere il plauso del tiranno.Cosa direbbe ad un giovane che vorrebbe iniziare la carriera come regista? Marco Bellocchio: Io lo scoraggerei profondamente, è un lavoro faticoso dove pochi riescono, e purtroppo in tanti si arrabattano, anche ragazzi di talento. Se però, dopo averlo scoraggiato, si incaponisce....Oggi c'è il vantaggio di poter lavorare con poco, con oggetti sempre più piccoli e vicini allo sguardo umano. Purtroppo in questa povertà molti si riducono ad imitare i padri, ma è ovvio che faranno commedie più brutte. Dovrebbero invece cercare la propria strada, non uccidendo i padri, ma separandosi da loro.