Dopo il successo di Sanpa: luci e ombre di San Patrignano, Netflix distribuisce un'altra docuserie dedicata a un caso tutto italiano: al centro di Vendetta: Guerra nell'antimafia troviamo Pino Maniaci e Silvana Saguto, due personalità di spicco dell'antimafia che sono finite sotto processo per accuse - rispettivamente - di corruzione e di affari illeciti nella gestione dei beni confiscati alle cosche. Una vicenda estremamente controversa, in cui è difficile distinguere ciò che è giusto e da ciò che è sbagliato: in questo documentario scritto, prodotto e diretto da Ruggero Di Maggio e Davide Gambino, di Mon Amour Films, con l'apporto dell'americana Nutopia, il "bene" è ambiguo e nasconde dei lati oscuri.
Pino Maniaci è un giornalista che si è fatto da solo, ha acquistato una piccolissima televisione e da lì ha dato il via - con i suoi servizi infuocati - ad una guerra aperta alle personalità mafiose della sua Sicilia; Silvana Saguto, invece, è stata il presidente dalla sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, che si occupa del sequestro dei beni appartenenti alla mafia. L'immagine pubblica dei due si è completamente sgretolata quando vengono accusati di sfruttare la lotta alla mafia per il proprio tornaconto personale. Entrambi si sono sempre dichiarati innocenti, accusando l'altro dei propri problemi, e non si sono sottratti alle telecamere di Di Maggio e Gambino, che hanno seguito Maniaci fin dal 2005 e la vicenda che li vede entrambi protagonisti dal 2013. I registi, che abbiamo incontrato per un'intervista, ci hanno raccontato la genesi del loro documentario: "Era il dicembre 2005, ho visto un servizio su Pino Maniaci e sono rimasto molto colpito, non conoscevo bene la sua storia anche se Partinico, dove c'è la sede della sua televisione è vicinissimo a casa mia. Mi si è accesa subito una lampadina" ha aperto la discussione Ruggero Di Maggio, "L'ho incontrato e da lì per circa tre anni abbiamo filmato con una certa continuità. Con lui, la sua famiglia, i suoi cani, con tutto il suo mondo. Il progetto affonda le sue radici nel 2005, ad un certo punto però abbiamo interrotto le riprese perché sentivamo che il personaggio stava diventando troppo eroico, si stava trasformando in un'icona un po' troppo semplicistica. Davide in seguito è entrato nel progetto e, nel 2013, è scoppiato il caso di Pino e quello di Silvana Saguto." "Pino Maniaci è sempre stato un personaggio molto particolare, quello che gli è successo ci ha permesso di uscire dalla dimensione un po' limitata di 'santi' ed 'eroi' di chi combatte la mafia. Ovviamente ce ne sono nell'antimafia, sono i fari del movimento, ma non tutti coloro che fanno la guerra alla mafia sono così. Volevamo raccontare personaggi tridimensionali, che ci permettessero di scoprire una realtà più complessa, più sfumata meno bidimensionale," ha poi aggiunto Gambino. "Pino ha iniziato un indagine che aveva come target principale il giudice Saguto, da li abbiamo deciso di raccontare in modo imparziale lo scontro tra i due, la guerra nella guerra. Su questo abbiamo costruito la nostra narrazione."
Vendetta: Guerra nell'antimafia, la recensione: i lati oscuri del bene nella nuova docuserie Netflix
Silvana Saguto e Pino Maniaci
Silvana Saguto è la seconda protagonista di questo documentario: "Le abbiamo lasciato lo spazio per raccontarsi, aveva il desiderio di chiarire la sua situazione. Abbiamo cercato di darle tutto lo spazio e la possibilità di esporre il suo punto di vista sulla vicenda. Noi siamo osservatori, abbiamo sì un punto di vista, ma non vogliamo dichiararlo. Vogliamo lasciare la possibilità al pubblico di comprendere dov'è la verità in autonomia. Cerchiamo di influenzare chi guarda il meno possibile" ci ha spiegato Di Maggio. L'importanza di seguire i personaggi con la maggiore imparzialità possibile è stato fondamentale anche per Gambino: "Abbiamo scelto di stare ad altezza d'uomo, volevamo stare alla dimensione umana dei due personaggi e del loro vissuto. Vendetta racconta le vicende personali e professionali di questi personaggi, non volevamo essere influenzati, il nostro non è un documentario sulla mafia o sull'antimafia in genere, ma sulle vicende uniche e personali di Maniaci e Saguto." Gambino ha poi sottolineato: "Il messaggio che volevamo veicolare con il nostro documentario non è ovviamente uno solo, vogliamo che lo spettatore possa fare le proprie riflessioni, volevamo spingerlo ad utilizzare il suo spirito critico, che ragionasse in autonomia sui temi che portiamo sullo schermo." "Volevamo far capire a chi vede il documentario che l'antimafia è un movimento che va coltivato, ma non deve essere sacralizzato" ha aggiunto Di Maggio.
Una novità tra i documentari italiani
Vendetta: Guerra nell'antimafia, essendo distribuito su Netflix, potrà essere apprezzato da un pubblico molto ampio, sia italiano che internazionale: "Posso dire che il nostro documentario è un po' una novità nel panorama dei prodotti di questo genere, spesso qui da noi si tende ad una narrazione in cui il punto di vista è molto definito, è centrale, i registi prendono sempre una posizione. La cosa inedita di Vendetta, che dobbiamo anche alla libertà che ci è stata lasciata da Netflix, è invece il fatto che noi partiamo da una posizione intermedia, abbiamo lasciato il nostro punto di vista il più invisibile possibile, per far sì che la verità si renda evidente da sola. Questo è un approccio che all'estero è di certo più sdoganato che qui in Italia," ci ha tenuto a spiegare Ruggero Di Maggio. "La nostra intenzione non era né di condannarli né di assolverli, volevamo ragionare su cosa è vero e su cosa non lo è, su quello che ci viene raccontato dai media, analizzare diversi modi di percepire la verità. Questo è un approccio valido secondo noi per un pubblico globale. Abbiamo raccontato una storia locale che però ragiona su temi universali." Ha poi approfondito Gambino.
L'imparzialità, anche in un documentario come questo, è comunque un'utopia, hanno spiegato gli autori: "Noi abbiamo cercato di non perdere le parti di nessuno dei due personaggi, questo però non vuol dire che non abbiamo un nostro punto di vista sulla vicenda, altrimenti non avremmo potuto raccontarla" ha sottolineato Di Maggio. Davide Gambino ha concluso dicendo: "La nostra docuserie dichiara proprio che è impensabile avere un'oggettività totale, noi abbiamo messo su una tavolozza i colori della vicenda, tra i quali ci sono anche i punti di vista dei protagonisti, il nostro è un racconto della complessità della realtà."