Ci sono volti che entrano prepotentemente nel nostro immaginario quotidiano. Nomi di sconosciuti fattisi famigliari; fantasmi di passati irrisolti, identità perse nel nulla, corpi svaniti. Di loro rimane però quel nome che rimbomba dallo schermo di una TV, che ci guarda dai manifesti appesi sui muri, che ci scruta sorridente tra le pagine dei giornali.
Come sottolineeremo in questa recensione di Vatican Girl, disponibile su Netflix, è da 39 anni che il volto di Emanuela Orlandi ci guarda sorridente con la propria fascia tra i capelli e gli occhi pieni di speranza. Quel nome si è ormai fatto sospiro, un contenitore di misteri cristallizzati all'interno di un'Italia che è andata avanti, mentre lei, Emanuela, è rimasta eternamente giovane, visione bidimensionale su manifesti e pixel televisivi. Un annuncio, una richiesta di rilascio, un'attesa eterna che il regista Mark Lewis tenta di raccogliere e restituire in formato documentaristico nella speranza di trovare una risposta, o quantomeno fare ordine tra le fila di un fatto di cronaca italiana vestito di mistero. Un mistero che ancora brancola nel buio: un interrogativo senza risposta, dai tratti di un best-seller che alle pagine ingiallite sostituisce stanze vuote, o visi fattisi maschere del dolore. Sono capitoli umani incarnati da fratelli, sorelle, madri e padri bloccati in un eterno limbo nell'attesa che venga finalmente siglata la parola "fine" a una storia che fine non ha.
Vatican Girl: la trama
22 giugno 1983. La giovane quindicenne Emanuela Orlandi esce di casa per recarsi alla sua scuola di musica. È una giornata di caldo torrido a Roma e, dall'unica televisione della casa, è possibile scorgere le immagini di Papa Giovanni Paolo II appena arrivato in Polonia. In quella casa, Emanuela non vi farà più ritorno. Vatican Girl intende seguire ogni pista possibile, e raccogliere ogni testimonianza per fare ordine in un caso mediatico apparentemente senza fine.
Il racconto dell'assente presenza
Non c'è bisogno di alcun imbonitore che presenti e introduca il mondo di Emanuela Orlandi allo spettatore. Quella ragazza, cittadina vaticana, è una presenza che, silente, ha fatto parte delle nostre vite senza saperlo, e senza volerlo. Un'icona riconoscibile, un volto conosciuto, un sorriso dolce e gentile dietro cui si cela un mistero sempre più fitto, un caso senza condanne e risvolti. Tutto vige su una perenne stasi, privo di evoluzione, o di bocche pronte a confessare. Ed è paradossale che ad avvolgere il manto dell'omertà, sia proprio quell'ambiente che al segreto del confessionale tiene fortemente. Il mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi pare celarsi tutto lì, rinchiuso tra le mura del Vaticano, dove la fede ha lasciato spazio al dolore, la speranza alla disperazione, la luce del sole, al buio del silenzio. Il regista Mark Lewis con il suo Vatican Girl tenta di squarciare quel manto omertoso, dando voce a quei cuori frammentati, depredati dalla presenza della giovane, ma anche dando spazio a testimoni e conoscenti prima inascoltati. Un viaggio al ritroso, tra depistaggi e indizi sconcertanti, compiuto sulla forza dei ricordi e della potenza della parola. La parola tenuta taciuta, inascoltata, ignorata, ma adesso elevata a veliero su cui navigare tra mari in tempesta di documenti di archivio, e ultimatum minacciosi.
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Uno sguardo in apnea
Nato come sguardo inedito su un caso inseritosi negli strati epidermici più profondi della società italiana, Vatican Girl riesce a coinvolgere il proprio spettatore tra fatti conosciuti e risvolti sorprendenti. Una caccia alla verità ancora senza epilogo, il cui tentativo di estendere la conoscenza del caso a target spettatoriali che esulino oltre i confini nazionali, finisce per trasportare ogni singolo spettatore al centro della narrazione, innestandogli un senso di angosciosa e disperata suspense. Nel corso delle quattro puntate il pubblico rimane in apnea; conscio di una risoluzione che ancora non esiste, passa ogni singolo minuto del documentario trattenendo il respiro, nell'attesa di un punto di svolta che possa portare a compimento un enigma lungo 39 anni.
La confessione del dolore
Nel mondo di Emanuela Orlandi non c'è spazio per un narratore esterno. È la forza della parola, del pensiero mnemonico, della pesantezza di corpi stanchi, ma non per questo privi di speranza, a prendere per mano lo spettatore e condurlo tra gli spazi ombrosi e disorientanti di questa selva oscura della storia italiana. A Vatican Girl la presenza di un voice over sta stretto; è una presenza superflua, inutile, soprattutto se a tracciare i contorni di una narrazione ancora senza fine sono i racconti dei famigliari di Emanuela, dei complici o pseudo tali del sequestro, di giornalisti e uomini di cronaca fattisi detective. Seguendo fedelmente ogni sillaba pronunciata, e ogni piccola espressione che segna il volto di uomini e donne pronti ad aprirsi dinnanzi a una telecamera, il regista redige il proprio saggio su un caso tanto doloroso, quanto sublimemente coinvolgente. È paradossale che, in un caso così mediaticamente d'impatto, chi sa tace, mentre chi è costretto ad aspettare parla e ricorda. E dinnanzi alla cinepresa di Lewis, seduti e con lo sguardo rivolto dinnanzi a sé, non hanno paura di parlare Pietro, Natalina, Federica e Maria Cristina Orlandi, così come non destano timori Sabrina Minardi (amante di quel Renatino a capo della banda della Magliana) e della migliore amica della stessa Emanuela. Sono testimonianze già conosciute, o del tutto inedite, prese e raccolte nella speranza di donare una nuova luce su un caso ancora in ombra, la cui risoluzione tace come il silenzio di una tomba.
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Tessere di un puzzle incompleto
È un fiume di parole in piena, Vatican Girl; un corso florido di ricordi incastonati nello spazio di filmati di archivio, materiale found-footage, annunci televisivi e pochi - ma mai fuori luogo - ricostruzioni cinematografiche, di momenti salienti il caso Orlandi. Ne consegue una galleria visiva multi-stratificata e multi-sensoriale, capace di colpire e attirare lo spettatore da innumerevoli punti di vista. Un trasporto completo, segnato dalla potenza dell'ansia e dell'angoscia, la stessa che abita nel cuore dei famigliari di Emanuela da quel maledetto 22 giugno 1983. Vatican Girl riflette nella propria fattura narrativa il caso che lo stesso documentaria tratta: un labirinto senza uscita; un puzzle incompleto, segnato da quattro episodi; quatto, come le piste seguite, e il grembo di colpevoli scandagliati, ma mai accusati. Puntata dopo puntata, il documentario di Mark Lewis si avvale di un'analisi profonda di quegli universi entro cui poter cercare un colpevole, o lo sprazzo di un mandante. Dalla pista del KGB (e del rilascio di Mehmet Ali Agca), a quello della banda della Magliana, passando per il mitomane Marco Accetti, fino allo stretto novero di cardinali e monsignori che vivono tra le mura del Vaticano, tra speranze spezzate e carte ingiallite, ogni episodio si fa capitolo a sé stante di un caso senza fine, scritto con l'inchiostro dei dubbi e sporcato di eterni depistaggi. È una partita senza fine di un Risiko della vita, quello di Emanuela Orlandi; uno spostamento continuo tra tappe disorientanti e vie senza uscita che portano tutte là, all'ombra di San Pietro. Ammantati da una lotta continua tra luci e ombre, i protagonisti di quest'opera si presentano sullo schermo riflettendo quello stesso disequilibrio che vive tra una speranza sempre accesa, e un mistero ancora in ombra.
Assenze incomplete
Per quanto coinvolgente, Vatican Girl vive comunque su un terreno non scevro di lacune. Sono buche poco profonde, certo, ma che risentono di una curiosità spettatoriale non completamente soddisfatta. Il coinvolgimento di Sabrina Minardi è un punto interrogativo che meritava essere approfondito molto più a fondo di quanto fatto nel corso del secondo episodio; così come la testimonianza sconcertante e inedita della migliore amica di Emanuela necessitava di uno spazio ben più ampio di quello concessole. Scelte dettate da un running time prestabilito, certo, ma che avrebbero potuto benissimo essere maggiormente equilibrate rispetto a un racconto fin troppo diluito e dilungato come quello di Marco Accetti. Ciononostante, la frustrazione nata in seno a un'inafferrabilità degli eventi restituiti in maniera apparentemente confusionaria, risponde invece a un'incertezza di fondo dello stesso racconto qui trattato. Non c'è nulla di sicuro nel caso Orlandi; e questo stesso senso di incompletezza finisce per vivere tra gli inframezzi del documentario di Mark Lewis. Un senso di disorientamento che in realtà coinvolge ancor di più lo spettatore, elevandolo a parte integrante di un mistero ancora irrisolto, una ferita ancora aperta, un'immagine ancora priva di un corpo da abbracciare, o pregare.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Vatican Girl sottolineando come il documentario di Mark Lewis riesca nel difficile intento di coinvolgere il proprio spettatore. Recuperando e raccogliendo in maniera oggettiva e con la forza di testimonianze dirette tutti gli indizi a disposizione e le piste seguite circa uno dei casi più mediatici della storia italiana: il rapimento di Emanuela Orlandi.
Perché ci piace
- L'assenza di un narratore esterno.
- L'inserimento di materiali di archivio e filmati d'epoca.
- La forza delle testimonianze.
- Il gioco dicotomico di una fotografia sviluppata tra luci e ombre.
Cosa non va
- Il poco spazio dato a certi protagonisti rispetto ad altri.
- La mancanza di un eventuale quinto episodio.