Recensione Jules e Jim (1962)

Un film dotato di un fascino indescrivibile, immortale come il tema che sviluppa, quello della ricerca della libertà e della felicità, pena la necessità di infrangere la natura delle cose e di superarla.

Utopia immortale

Ripresentato nelle sale italiane qualche tempo fa, per i quaranta anni dalla sua realizzazione, il celebre film di François Truffaut è il simbolo, insieme ad alcune pellicole di Godard, Rohmer e altri innovativi cineasti francesi, di un nuovo modo di intendere il cinema rinchiuso nell'etichetta Nouvelle Vague. Dagli anni '10 fino all'avvento del nazismo, il film ripercorre la storia di una lunga amicizia tra il francese Jim (Henri Serre) e l'austriaco Jules (Oskar Werner) e del loro comune amore per l'affascinante Catherine (Jeanne Moreau).

Dai primi spensierati momenti, intervallati dalla prima guerra mondiale, al triste epilogo, Truffaut segue elegantemente i suoi personaggi, mantenendosi fedele all'omonimo romanzo di Henri-Pierre Roché e arricchendone i tessuti narrativi con il suo originale gusto cinematografico, fatto di omaggi al cinema europeo dei maestri (Renoir in primis) e alla rielaborazione del miglior cinema americano. Un film dotato di un fascino indescrivibile, immortale come il tema che sviluppa, quello della ricerca della libertà e della felicità, pena la necessità di infrangere la natura delle cose e di superarla. Un'utopia irraggiungibile, poetica e struggente, priva di possibilità, in continua contrapposizione con le costrizioni del reale.

Il reale è, per tutto lo svolgimento degli eventi, il vero ostacolo alla realizzazione della felicità sentimentale dei protagonisti, specie di Catherine, autentica irrequieta sognatrice, alla ricerca di una purezza infinita, infantile. Il fascino della trasgressione e dell'anticonformismo non ha quindi un valore storico o sociologico, ma è la semplice negazione del reale e dell'ottusità delle convenzioni sociali; ricerca della libertà in senso assoluto.

"Abbiamo giocato con le sorgenti della vita e abbiamo perduto" è la chiosa del film; estrema e limpida, esemplifica perfettamente il cammino dei protagonisti, il loro desiderio di abbattere la struttura monogamica e familiare della società e la loro inevitabile sconfitta.

Ciò che affascina ulteriormente è il perfetto equilibrio tra gradevolezza narrativa e ambizione estetica. A quaranta anni dalla sua uscita, il film mantiene intatta la sua forza, la sua raffinatezza visiva e il suo ampio respiro innovativo. La storia è serva dei personaggi, in classico stile Truffaut; personaggi forti, vigorosi, che rimangono a lungo nella memoria e affascinano e affezionano gli spettatori, quanto l'autore, che ne determina la consistenza con l'irrequietezza della sua macchina da presa. I suoi movimenti, gli arresti improvvisi, i fermo immagine, le veloci carrellate, le lente panoramiche, commentano e decidono il comportamento dei protagonisti, li vivificano senza mai estrarli dal loro ambiente.

E' così che la stessa macchina da presa comunica quel senso di libertà e di insofferenza che caratterizza i protagonisti. Questa irrequietezza è la componente fondamentale di tutto il cinema di Truffaut.