Utama - Le Terre Dimenticate, la recensione: silenzi e leggende per un film sulla necessità di agire

La recensione di Utama - Le terre dimenticate: Alejandro Loayza Grisi esordisce alla regia di un lungometraggio con un film affatto facile, eppure capace di regalare attimi di vera bellezza. Tra i silenzi e i condor della Bolivia. Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival.

Utama - Le Terre Dimenticate, la recensione: silenzi e leggende per un film sulla necessità di agire

Si vede quanto Alejandro Loayza Grisi, prima di debuttare alla regia di un film, abbia affinato l'occhio grazie ai documentari e, soprattutto, alla fotografia. Il suo sguardo, infatti, in una staticità che sfrutta la costanza per muoversi in avanti, racchiude il senso di un film che va elaborato e compreso un poco alla volta, dimenticandosi per un attimo dell'orologio. Ma non perché l'opera duri chissà quanto (appena 87 minuti), piuttosto perché Utama - Le terre dimenticate, è un film che fa del silenzio il protagonista principale. Un silenzio potente che si allarga verso i confini smisurati della Bolivia, consumata e inaridita da una crisi climatica che si fa sempre più feroce.

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Utama - Le terre dimenticate: un'inquadratura

Tra maestosità visiva e un approccio politico all'emergenza (non basta più parlare di messaggi ecologisti), iniziamo questa nostra recensione di Utama rimarcando proprio la necessità all'azione e al pensiero concreto che dovrebbero affrontare di petto un allarme che non può più essere rimandato. Il cinema - e l'arte in generale - può essere un ulteriore viatico, e allora Alejandro Loayza Grisi con la sua opera (scelta per rappresentare la Bolivia agli Oscar del 2023, nonché vincitrice del Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival) ci spiega quanto il cambiamento climatico stia costringendo le comunità a cambiare radicalmente il loro stile di vita.

Il condor

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Utama - Le terre dimenticate: una scena del film

Per farlo, allunga e dilata lo sfuggente senso temporale che aleggia sopra gli altipiani boliviani, dove un'anziana coppia quechua, Virginio e Sisa (José Calcina e Luisa Quispe, attori non professionisti scovati per puro caso dal regista), da anni portano avanti la loro confortevole routine. Come fosse un ciclo da ripetere che si alterna di alba in alba. Però la loro tranquillità - che noi occidentali potremmo in qualche modo invidiare, se non fossimo così schiavi di una perenne frenesia - si rompe quando il nipote Clever li esorta a trasferirsi in città. Il motivo? Non c'è più acqua, la siccità ha divorato tutto e non resta che la polvere mossa dal vento e la sete si fa sentire, sia per loro che per i lama. La coppia è restia, lasciare la loro terra, stravolgere le proprie abitudini. In questo senso, Alejandro Loayza Grisi li mette (e probabilmente ci mette...) davanti ad un bivio: seguire il flusso migratorio di altri quechua o trasferirsi in città? Come se non bastasse, tra leggende e richiami ancestrali, ecco un inquietante presagio: l'apparizione di un condor. Animale non casuale, dato che in Bolivia è considerato un uccello sacro. Protegge le montagne, è sinonimo di immortalità in quanto, prima di morire, sembra che torni nel luogo esatto dove è nato. Ma il regista, dal punto di vista narrativo, gioca con le metafore e con la simbologia, e dunque anche lo stesso condor è in via d'estinzione, minacciando lo stesso ciclo vitale.

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Tra i silenzi della Bolivia

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Utama - Le terre dimenticate: un'immagine

Se girare Utama è stata una vera sfida cinematografica (lavorare a 4.200 metri sul livello del mare non è propriamente come girare in un teatro di posa), la costruzione filmica che ha voluto mettere in scena in regista si basa essenzialmente su due elementi: la fotografia e il suono. La macchina da presa segue i movimenti della luce, dettati dallo splendido lavoro di Bárbara Álvarez, andando ad immergersi nel suono di Federico Moreira, capace di carpire l'ineluttabilità della natura stessa. Se l'ispirazione per la sceneggiatura è arrivata dai numerosi viaggio del regista in Bolivia, è stata la necessità di raccontare una storia a smuovere la macchina produttiva: quello che vediamo in Utama non potremmo vederlo in nessun notiziario o in nessun documentario.

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Utama - Le terre dimenticate: una sequenza del film

Il cinema, e il suo senso forse più ancestrale, rendono il valore del racconto un punto nevralgico da cui partire per spiegare quanto problemi apparentemente lontani sono, invece, drammaticamente vicini: migrazioni forzate, tradizioni distrutte, la perdita della proprie identità. Allora, seguendo i silenzi e la giusta pazienza di visione (insomma, non è un film facilissimo e, a tratti, risulta alquanto estremo), Utama regala inquadrature di accecante bellezza, senza però perdere mai di vista la realtà dei personaggi, attanagliati dai demoni di un profondo cambiamento che non è più possibile ignorare. Del resto, la parola "utama", in lingua quechua vuol dire "la nostra casa".

Conclusioni

Concludiamo la recensione di Utama parlando ancora di quanto il paesaggio sia la parte essenziale e spirituale del racconto. Un racconto che si prende il suo tempo, tra silenzi e riflessioni che sfiorano concetti ancestrali. Le immagini parlano e vivono, ma la visione complessiva richiede un approccio contemplativo a tratti ostico. Sicuramente, non adatto ad un pubblico ampio.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
4.5/5

Perché ci piace

  • I suggestivi paesaggi.
  • Lo sguardo del regista, esordiente.
  • Il messaggio ambientalistico: il cambiamento climatico esiste e va combattuto.
  • I silenzi...

Cosa non va

  • ...che potrebbero appesantire la visione.
  • L'approccio documentaristico potrebbe smorzare la potenza cinematografica.