Le nevrosi familiari tornano ad essere raccontate al cinema in un piccolo film co-prodotto da Svizzera, Francia e Belgio, che racconta di una coppia con tre figli che vive in mezzo al nulla, accanto a un'autostrada mai finita che concede loro di godersi la serenità della solitudine. Quando però la strada viene asfaltata ed entra in funzione, con migliaia di automobili che sfrecciano su di essa, la stessa vita per i membri della famiglia si tramuta in un incubo e il rumore continuo e fastidioso delle auto in corsa li porta a barricarsi in casa, determinando un inevitabile precipitare degli eventi che metterà a dura prova il loro equilibrio mentale. Presentato alla Semaine de la Critique dello scorso Festival del cinema di Cannes, Home arriverà nelle nostre sale venerdì 23 gennaio. Una conferenza stampa tutta al femminile saluta l'arrivo in Italia del film, con la regista Ursula Meier e la magnetica interprete Isabelle Huppert, che staserà riceverà al Teatro Pergolesi di Jesi il Premio Internazionale Valeria Moriconi per la sua carriera artistica in ambito teatrale e cinematografico, impegnate a rispondere alle domande dei giornalisti romani sui significati nascosti in un'opera che si propone come metafora della nostra società e in particolare di una famiglia ai margini della società costretta a confrontarsi con i propri incubi.
Ursula Meier, perché ha scelto di raccontare le ossessioni della civilizzazione in chiave moderna (le automobili) e non contemporanea (la tecnologia)?
Ursula Meier: Home è una sorta di favola realista e quello che il film fa vedere è importante quanto quello che non mostra. All'inizio il pericolo sembra venire dalla strada, dalle automobili che sfrecciano, ma in realtà poco a poco si capisce che viene dall'interno dei personaggi, dalle loro nevrosi. Volevo raccontare la famiglia in quanto valore essenziale per gli individui, ma è possibile leggere il film anche come una storia ambientalista, ecologista (le macchine e il rumore) o sociale, con questa famiglia invisibile al resto della società, agli occhi degli operai o degli automobilisti. In Svizzera, addirittura, ci hanno visto una metafora del paese, un posto isolato, chiuso, dove spesso domina la paura del resto del mondo.
La famiglia protagonista del film sembra resistere all'omologazione con il resto della società, ma alla fine capisce che non è possibile vivere nello spazio ristretto di una casa.
Ursula Meier: La madre nel film cerca di esercitare, nei confronti dei figli, un'attrazione più forte rispetto alla fascinazione del mondo esterno. Quando sull'autostrada cominciano a sfrecciare le prime automobili lei cerca di adattarsi a questa nuova situazione, ma poi cede, crolla, e il suo è un vero e proprio sfinimento fisico. Tutti si barricano in casa, tentano di isolarsi per sfuggire al rumore ossessivo delle auto sull'autostrada, ma alla fine sono
costretti a rientrare nel mondo che avevano cercato di lasciar fuori dalla porta di casa. Sono d'accordo con quello che dice Tsai Ming-Liang, "Nelle situazioni estreme, quando si è toccato il fondo si trova la forza per risalire in superficie."Perché ha scelto di non concludere il suo film in maniera tragica?
Ursula Meier: Il film era stato costruito per un finale che prevedeva il suicidio collettivo, ma io sono una persona ottimista e quindi ho preferito un finale diverso, che rappresentasse una liberazione fisica, prima ancora che psicologica, dei personaggi. Escono dalla casa perché hanno bisogno di respirare. L'idea era quella di costruire una commedia leggera che poi scivolasse verso l'angoscia, quasi verso l'horror. E' un'opera che ci fa pensare ad Alfred Hitchcock, ai primi film di Roman Polanski, e contiene in sé un mix di realismo e surrealismo, alterna i toni del grottesco con l'horror e se vogliamo la fantascienza. E' un miscuglio di generi che lo rende un prodotto piuttosto particolare.
In Home sono evidenti richiami al cinema di Jacques Tati e Jean-Luc Godard.
Ursula Meier: Io e Agnès Godard, il direttore della fotografia, abbiamo lavorato proprio per evitare facili comparazioni. Mi piacciono molto Tati e Godard, ma se ci sono richiami al loro cinema sono venuti in maniera del tutto naturale, non voluta. La nostra intenzione era fare un film singolare, che somigliasse solo a sé stesso.
Isabelle Huppert, perché sceglie di interpretare sempre personaggi così estremi, problematici, provocatori?
Isabelle Huppert: Il mio personaggio, almeno inizialmente, non è estremo, anzi è piuttosto comune e ciò che mi ha intrigato è stata proprio la sua banalità. Nello stesso tempo, è un po' sfasato rispetto alla realtà. Il film è una sorta di favola, di parola, una metafora che racconta una situazione molto particolare. Mi piaceva questa impostazione teatrale del film. Sembra che la famiglia protagonista si trovi su un palcoscenico dal quale guarda il mondo davanti a sé, per poi diventare essa stessa spettacolo per gli altri.
C'è qualcosa che le toglie l'aria nella vita di tutti i giorni, come accade al suo personaggio nel film?
Isabelle Huppert: A volte è la stessa vita a essere soffocante. Fare un film circondata da tante persone è una situazione piuttosto rassicurante, ma appena torni alla realtà della vita vieni travolta dalla sua violenza e dall'abbondanza di scelte. E questa ricchezza di possibilità spesso mi lascia sgomenta.
Le sue interpretazioni esauriscono i suoi gusti cinematografici o ama anche altri generi che non ha mai esplorato come attrice?
Isabelle Huppert: In realtà, ho frequentato un po' tutti i generi, ma trovo sia un po' delicato parlare di categorie, anche quando ci si riferisce al cinema d'autore, un'idea che ho sempre difeso, ma che bisogna maneggiare con prudenza. Non è detto che il cinema d'autore non debba essere commerciale. Basti pensare ai film di Federico Fellini che hanno avuto un grandissimo successo commerciale e hanno vinto vari Oscar. Ciò che importa è che un film sia un buon film e spesso puoi trovarlo dove meno te lo aspetti. Come attrice vivo nel paradosso dell'attore: sono io senza esserlo eppure essendolo. Il film è una sorta di rapina e l'attore ha tutti i diritti sul proprio personaggio e non ha alcun vincolo da rispettare in questo, può appropriarsene totalmente.Lei sarà Presidente di giuria al prossimo Festival di Cannes.
Isabelle Huppert: Sarà un'esperienza fantastica, perché Cannes è il luogo più aperto a tutte le idee e le diverse cinematografie mondiali. Sarò una presidente di giuria curiosa, eclettica, aperta a tutto, così come lo sono nel mio mestiere di attrice.