Che cosa strana, la nostalgia. Una sensazione che si può provare anche rispetto ad un'epoca vissuta indirettamente. Sì, perché se oggi c'è un'emozione predominante, quella è proprio la nostalgia. Saranno gli anni complicati, sarà che tutto è scontato e artificiale, che quando ci ritroviamo a ri-vivere certe situazioni, è come se in qualche modo non ci fossimo mai staccati da quel contesto. Potrebbe essere un pensiero contorto, il nostro, eppure ri-vedendo Uomo d'acciaio (titolo originale, decisamente emblematico, Pumping Iron), girato nel 1977 e diretto da Robert Fiore e George Butler, l'impressione è che un certo tipo di cinema (anche se questo sarebbe tecnicamente un documentario) sia davvero una sorta di macchina del tempo. Con un appunto: che la nostalgia sia ormai l'emblema quotidiano, lo sanno bene le piattaforme streaming, che spingono sul nostro indispensabile bisogno di conforto.
Lo sanno bene, e allora pescano da titoli che definiremmo banalmente cult, appartenenti alla nostra memoria. E che Uomo d'acciaio sia nel catalogo Netflix è un elemento sintomatico del nostro discorso. Sintomatico, e capace di impreziosire notevolmente l'offerta streaming della piattaforma. Perché? Semplice: il documentario da 85 minuti di Fiore & Butler, presentato a Cannes, è uno specchio di com'eravamo. O meglio, di com'era Arnold Schwarzenegger prima di diventare Arnold Schwarzenegger. È il riflesso di com'era il mondo del culturismo, legato non tanto alla forma fisica, ma allo status mentale - "vorrei con me una bella donna, ma soprattutto vorrei una donna di carattere", dice Schwarzy, all'epoca trentenne, e ancora lontano da Hollywood (nonostante diverse apparizione "non accreditate").
Uomo d'acciaio: dalle VHS allo streaming
Più in generale, Uomo d'acciaio - Pumping Iron è il riflesso di come poteva essere inteso il sogno americano, prima che perdesse credibilità. E poi diciamolo, Uomo d'acciaio, ci riavvicina ai ricordi di quando certe opere (magistrali) venivano recuperate in VHS, magari sfruttando copie, diremmo, rimediate. Se nel documentario, che accrescerà e lancerà il mito di Schwarzenegger, si documenta (letteralmente) l'allenamento e il pensiero di un gruppo di culturisti in vista delle finali di Mister Olympia 1975 (indovinate chi vincerà?), è interessante notare l'approccio narrativo dei registi, che si ispirarono al libro fotografico realizzato da Butler insieme a Charles Gaines. Quegli scatti e quei racconti sono poi applicati al linguaggio documentaristico, che si focalizza sulla rivalità tra Schwarzy e Lou Ferrigno. Ma all'interno di Uomo d'acciaio sfilano - nel vero senso della parola - diverse personalità legate al mondo del bodybuilding: Serge Nubret, Mike Katz, Ed Corney. Riflessi, quindi, e poi viaggi: Pumping Iron è un viaggio ipotetico che parte dalla Gold's Gym di Santa Monica e arriva poi in Sud Africa, facendo tappa in Sardegna.
Dalla California alla Sardegna
Sì, perché il documentario si ferma anche ad Ollolai (appena mille anime, in provincia di Nuoro), dove incontriamo Franco Columbu, tra i più famosi culturisti italiani nonché grande amico di Schwarzenegger (una sorta di storia-nella-storia!). Dunque, all'interno di un panorama marcatamente americano l'opera di Robert Fiore e George Butler ha la capacità di concedere spazio ad una digressione che si rivelerà concettualmente funzionale, mettendo sullo stesso piano due ideali che proprio negli Anni Settanta trovavano una contemporanea esistenza: il vecchio mondo insieme a quello nuovo. La millenaria Sardegna, la plasticosità degli Stati Uniti d'America. Anche per questo, Uomo d'acciaio è una macchina del tempo: girato in 100 giorni (poi si esaurirono i fondi, a rifinanziare il progetto i bodybuilder protagonisti) è uno sguardo che immortala un cambiamento culturale, sociale e, perché no, anche politico. Del resto, senza cervello, non ci sono muscoli che tengano.