Presentato nel 2017 al Toronto International Film Festival e distribuito sulla piattaforma Netflix soltanto adesso, questo film evanescente rappresenta l'esordio alla regia di Brie Larson, dapprima rifiutata come protagonista, e cinque anni e un premio Oscar dopo richiamata addirittura come regista. Come vedremo in questa recensione di Unicorn Store, però, l'agrodolce commedia della Larson è rarefatta al punto da risultare un po' inconsistente, nonostante gli attori rinomati e l'originalità dello spunto la rendano comunque godibile.
Un unicorno su cui sospirare
Protagonista di Unicorn Store è Kit (Brie Larson), una giovane donna poco convenzionale, che conversa con i suoi pupazzi degli Orsetti del Cuore e dipinge in estasi quadri sognanti schifati dai critici. Insoddisfatta nel sentirsi continuamente spronata dai genitori a uscire dal suo bozzolo infantile, accetta un lavoro da impiegata in un'agenzia interinale, dove un vice-presidente un po' stordito sembra miracolosamente capire il suo estro creativo. Ma quando Kit riceve un invito su un volantino fantasioso realizzato appositamente per lei, il suo proposito di omologarsi subisce un arresto. Un misterioso Emporio, dall'entrata su strada quasi invisibile, la attende scintillante come una reggia e accogliente come il regno che Kit non sapeva di possedere.
L'eccentrico venditore (Samuel L. Jackson), con i capelli cotonati e gli occhiali e il completo rosa, le promette un unicorno a patto che lei dimostri di meritarselo, superando alcune prove. La prima consiste nel costruire una degna casa per la creatura fantastica; ed è così che Kit, senza spiegargli bene i dettagli, si rivolge al giovane operaio Virgil, che si appassionerà all'impresa benché non sappia a cosa è destinata.
L'età adulta
Unicorn Store si sviluppa come un racconto di formazione, in cui Kit fatica a separarsi dalla sua infanzia prolungata, una comfort zone rappresentata dal suo mondo di peluches, brillantini e disegni dai colori pastello. Il mondo degli adulti sembra molto più grigio e noioso: negli uffici bisogna fotocopiare banali carte anziché la propria mano, e a una presentazione piena di coriandoli, dove l'aspirapolvere serve a spazzare via le paure, viene preferita la solita casalinga sexy che con una mano pulisce e con l'altra culla un neonato.
Il posto di lavoro risulta più precario dei sogni in cui Kit si rifugia, e il vice-presidente meno attento ai meriti di quanto sembrava. Dai suoi genitori Kit si sente lontana per altri motivi; armati di ottima volontà e ricette per essere felici, sposano comunque un ideale di vita che a Kit appare forzato e conformista. Non aiutano i loro elogi continui a Kevin, coetaneo di Kit e insopportabile nel suo entusiasmo artefatto che invece di aiutarla la affossa. I soli che sembrano capirla sono Virgil, con il suo sguardo dolce che non giudica mai, e quell'unicorno promesso che Kit per adesso può solo immaginare.
Brie Larson: dal premio Oscar per Room a Captain Marvel
Tra sogno e realtà
L'atmosfera onirica di Unicorn Store rievoca il cinema di Michel Gondry, ma stempera quell'estro immaginifico a favore di una chiave infantilizzante che rende Unicorn Store un po' troppo naïf da un lato, e meno poetico rispetto alle sue potenzialità dall'altro. La principale debolezza del film risiede nel ritmo un po' annacquato e nella scrittura dei personaggi, che avrebbe potuto scavare molto più in profondità, nelle ragioni di Kit in primis. Al di là della sua insofferenza per le incombenze degli adulti e al di là dei suoi maglioncini coloratissimi, conosciamo poco la protagonista.
Gli attori in parte compensano le lacune della sceneggiatura, a cominciare da Brie Larson, che ci convince sempre: quando la vediamo fragile ma coraggiosa in Room, quando combatte con i suoi superpoteri in Captain Marvel, e anche quando dipinge unicorni e il suo volto s'illumina. Allo stesso modo Joan Cusack è perfetta nei panni della madre, pressante, amorevole e un po' stralunata. Il carisma di Samuel L. Jackson si adatta a tutti i ruoli, da quello del sarcastico Nick Fury (ancora in Captain Marvel) a quello dell'istrionico venditore dell'Emporio, che nella sua stranezza inafferrabile e sopra le righe ricorda il burtoniano Willy Wonka de La fabbrica di cioccolato.
Così l'esordio alla regia della Larson non entusiasma ma fa sorridere, ricordandoci che i sogni fanno parte di noi e non vanno abbandonati, bensì amalgamati con la vita, a volte temibile, ma vera.
Conclusioni
Come abbiamo visto nella recensione di Unicorn Store, l’esordio alla regia di Brie Larson parte da un’idea originale e poetica, ma si rivela un po’ troppo naïf per emozionare quanto avrebbe potuto. L’attaccamento a un’infanzia morbida e colorata è reso efficacemente dalla metafora dell’unicorno, che non diventa mai didascalica. Comunque i bravi attori e le atmosfere sognanti lo rendono un film piacevole e a suo modo particolare.
Perché ci piace
- Questa singolare commedia ha un’atmosfera incantata, che rende il film godibile.
- Gli attori, da Brie Larson a Samuel L. Jackson, riescono a dare uno spessore maggiore ai loro personaggi.
- Lo spunto di un emporio misterioso che promette unicorni è sicuramente originale.
- L’umorismo garbato del film fa sorridere.
Cosa non va
- La scrittura avrebbe potuto scavare molto più in profondità nelle ragioni dei personaggi, e in quelle della protagonista in primis.
- Il ritmo del film risulta un po’ annacquato.