Ultimamente, l'immagine di Kevin Spacey è legata essenzialmente alla figura di Frank Underwood, il machiavellico e spregiudicato Presidente degli Stati Uniti con una vagonata di scheletri nell'armadio di House of Cards. Non che, di recente, la carriera dell'attore americano sia stata priva di ruoli interessanti, ma quello del Presidente Underwood finisce per sovrastare immancabilmente tutti gli altri da lui interpretati, perlomeno dai tempi di American Beauty.
Eppure i compensi elargiti da Netflix non devono essere del tutto soddisfacenti, se fra una pausa e l'altra nelle riprese della serie TV Spacey si è dedicato ad un progetto come Una vita da gatto, in cui il suo personaggio, un uomo d'affari cinico e misantropo di nome Tom Brand, non solo ricorda certi tratti distintivi di Frank Underwood, ma sembra quasi rovesciare nella caricatura questo antieroe televisivo. Con risultati, tuttavia, non proprio brillanti.
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Occhi di gatto, voce di Spacey
Ennesimo esempio in una tradizione sterminata di epigoni di Ebenezer Scrooge, il Tom Brand di Una vita da gatto si presenta come il canonico business man totalmente immerso nella propria attività professionale, interessato unicamente al profitto, refrattario ai sentimenti e insofferente verso l'ambiente familiare, con gran scorno della moglie Lara (Jennifer Garner), la quale verrebbe vederlo trascorrere più tempo con la figlioletta Rebecca (Malina Weissman). Ma proprio il compleanno di Rebecca servirà a mettere l'uomo di fronte a una sfida inedita: pronto a esaudire il desiderio della figlia regalandole un piccolo amico peloso, tale Mr. Fuzzypants, in seguito a circostanze un po' confuse (per eventuali chiarimenti rivolgersi direttamente agli sceneggiatori, ben cinque) Tom precipita dal tetto di un grattacielo insieme al gatto di cui sopra e, nel suo miracoloso atterraggio (chiedere sempre ai medesimi sceneggiatori), si ritrova catapultato all'improvviso nel corpo di Mr. Fuzzypants (ancora agli sceneggiatori, benché tale espediente sia stato comodamente riciclato da Tutto accadde un venerdì).
Se fino a qui, pur nell'estrema semplicità/banalità dell'impianto narrativo e della costruzione dei personaggi, lo spettatore poteva conservare un vago barlume d'interesse per la pellicola diretta da Barry Sonnenfeld (se questo non è il punto più basso nella filmografia del regista de La famiglia Addams e Men in Black, ci manca davvero pochissimo), da qui in poi meglio azzerare qualunque aspettativa. È vero, Una vita da gatto è un prodotto d'intrattenimento senza pretese e rivolto esclusivamente a un pubblico infantile, ma l'assoluta povertà delle gag offerte e la stanchissima reiterazione dei miagolii di Mr. Fuzzypants e delle "faccette buffe" dei comprimari 'umani' trovano comunque ben poche scusanti e rischiano di scontentare pure gli spettatori più piccoli.
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Tanto va la gatta al lardo...
La morale, ve lo anticipiamo subito, consiste nella consueta celebrazione dei legami familiari, con la dicotomia lavoro/affetti privati risolta sbrigativamente a tutto vantaggio di questi ultimi, mentre l'egocentrico padre di famiglia impersonato da Kevin Spacey, letteralmente ossessionato dall'altezza dei propri grattacieli, ancor più che Underwood pare un perfetto surrogato dell'attuale Presidente eletto degli USA. Accanto a uno Spacey con il pilota automatico, che debba gigioneggiare con scarsa convinzione o limitarsi a doppiare il vivace felino, si limita a fare da 'tappezzeria' tutto il resto del cast, tra le espressioni perennemente perplesse di Jennifer Garner (sul serio l'ex signora Affleck non aveva ricevuto proposte migliori di questa?) e quelle terribilmente ingessate di un Christopher Walken che sembra piombato sul set per puro caso.
Non sono gli attori, a ogni modo, il vero problema di Una vita da gatto, quanto un copione fiacco e senza idee, che si accontenta di riciclare situazioni e cliché già arcinoti, livellando verso il basso ogni spunto di presunta comicità e tentando con scarsi effetti di arricchire la trama mediante qualche subplot di poco conto (l'insensata lotta di potere ai vertici della compagnia presieduta da Tom). Prevedibile tonfo estivo al box office statunitense, nonostante il target di riferimento (bambini e famiglie) sia quello più redditizio a cui la distribuzione cinematografica possa aspirare, e ampia quantità di sbadigli assicurati: in poche parole, da evitare senza alcun rimpianto.
Movieplayer.it
1.5/5