Recensione Habana Blues (2005)

Il racconto di uno scorcio di vita di due amici aspiranti cantautori in quel di Cuba serve al regista-sceneggiatore per andare a fondo di alcune delle problematiche socio-politiche che condizionano pesantemente la vita dell'individuo nell'isola di Castro.

Una storia cubana

Benito Zambrano, dopo il grandissimo successo iberico di Solas, film sul mondo dei diseredati in Spagna, torna al cinema dopo una lunga riflessione, un lungo periodo di sosta che lo ha portato a valorizzare appieno tramite la promozione festivaliera la sua opera prima e a lavorare sporadicamente per la televisione.
Torna con uno script soppesato, riflessivo, in fase embrionale già da una decina d'anni addietro (ai tempi del fervere della lavorazione di Solas), che si spiega sullo schermo rendendo testimonianza di un lavoro di cesellatura che pur tuttavia nulla toglie né alla briosità della pellicola, né al suo impatto politico e sociale.

Per molti versi, per stessa ammissione di Zambrano, non si può dire nulla su Cuba senza usare una cifra propriamente politica. E di valenza politica, infatti, pare caricarsi una vicenda apparentemente del tutto sganciata da problematiche sociali. Ma la storia di due amici musicisti, che sognano di sfondare fino al successo, la storia di un rapporto di coppia senza possibilità di costruzione se non al di fuori dell'isola, fotografa una società che non può far a meno di impattare, anche fisicamente, su questioni politico-culturali che ne determinano l'esistenza.
Così sulla pellicola s'imprimono valenze e riferimenti simbolici di una realtà che, se non osservata con gli occhi limpidi e ingenui di un ideale attaccamento alla propria terra d'origine, non scaturisce altro sentimento se non quello del distacco, della fuga, magari a malincuore si, ma pur sempre fuga.
E il fatto che ancora oggi non si sappia se il film sarà distribuito all'Avana e dintorni, né si sono avute notizie da parte degli organi preposti in proposito, non riuscendo in nessun modo a squarciare il velo di silenzio che attanaglia qualsiasi argomento minimamente scomodo, la dice lunga sulla verosimiglianza della situazione descritta.

Zambrano è abbastanza abile nel non riproporre il-solito-film-cubano, tutto rum, spiagge e storie d'amore fantastiche, per pennellare i tratti discreti nella loro spensieratezza e malinconia, di due amici cubani qualsiasi, che vivono tra telefonate scroccate a vicini di casa e sogni di notorietà, tra piccoli garage con una chitarra e il concerto della vita che si ha da organizzare. L'esplorazione del vissuto di due ragazzi qualsiasi, tra alti e bassi, è il veicolo, intelligentissimo e gradevole, di mettere sul piatto le problematiche sociali che a Cuba non vanno a toccare un generico "popolo", ma le singole individualità, tra gioie e miserie, tenendo il timone dritto sull'affezione alla propria terra e alla propria gente.
Il film ci introduce e ci descrive in modo soddisfacente le dinamiche che si esplicano sullo schermo e, pur ricadendo qua e là nei clichè dai quali il regista ha tentato di tenersi lontano, si rivela un lavoro pieno di dignità sia nella forma che nel contenuto.