È solo colpa tua, lo sai? Mi hai detto che potevo fare tutto...
Di nuovo insieme, la miniserie in quattro episodi (un totale di sei ore di durata) rilasciata da Netflix il 25 novembre, è stato uno degli eventi televisivi di cui si è più parlato per tutto il corso del 2016. Dal momento della sua programmazione, il revival di Una mamma per amica ha suscitato ovviamente un interesse enorme e ha aperto numerosi dibattiti e scambi di opinioni tra i fan di lungo corso di questa amatissima serie TV. Tra l'entusiasmo generale più o meno condiviso, però, non sono mancate pure qualche perplessità sulla direzione presa dal revival e qualche voce fuori dal coro.
Una 'bordata' particolarmente violenta è arrivata dall'edizione online del Washington Post che, oltre a non aver mostrato troppo apprezzamento per A Year in the Life, il 29 novembre ha pubblicato un editoriale dal titolo Rory Gilmore is a monster per indicare come la miniserie abbia messo in risalto tutti i lati negativi del personaggio di Rory Gilmore, presentandola come una giovane donna amorale e senza scrupoli. E sebbene l'interpretazione offerta sulla parabola di Rory ci sembri piuttosto radicale e non del tutto obiettiva, è pur vero che vari assunti di partenza dell'articolo hanno più di un fondamento. Al termine della visione di A Year in the Life (pertanto, da qui in poi occhio agli inevitabili spoiler), abbiamo pensato dunque di raccogliere la provocazione del Washington Post per riflettere sulla figura di Rory Gilmore e sul perché, per tantissimi fra noi spettatori, sia stato naturale identificarci con lei e con molti aspetti del suo carattere e della sua vita. Oggi così come all'inizio della serie, oltre quindici anni fa.
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L'eroina che meritiamo, ma anche quella di cui abbiamo bisogno
Partiamo proprio da qui, dagli albori di Una mamma per amica: dal lontano 2000, ovvero nel periodo dell'apogeo del filone dei teen drama, Rory Gilmore, figlia della vivace madre single Lorelai Gilmore, si è imposta come una delle teenager più popolari della televisione; e non solo per la "luce riflessa" della strabordante simpatia di una mamma ironica e anticonformista. Per quali motivi, è abbastanza facile a dirsi: il personaggio interpretato da Alexis Bledel non rientrava affatto nei vari stereotipi femminili diffusi nella TV dell'epoca (e in parte in quella odierna), ma appariva come un'adolescente assolutamente credibile, proprio in virtù della sua "ordinarietà". Non solo: con il suo carattere timido e la sua riservatezza, la tendenza a immergersi nella lettura di un libro, con le cuffie del walkman (effetto nostalgia immediato!) a farle da scudo contro i rumori del mondo, i gusti un po' hipster ancora prima che fosse coniato il termine hipster e la sua dedizione allo studio come passione totalizzante, Rory Gilmore ci è apparsa come l'eroina che non avremmo mai sperato di vedere in televisione.
Lettrice avida o addirittura bulimica (ricordate la quantità impressionante di libri che infilava nello zaino ai tempi del liceo?), amante dell'indie rock e del cinema d'autore, ma in generale curiosa verso ogni forma d'arte, refrattaria allo sport e all'attività fisica, educata, sensibile e di mentalità progressista, Rory non si limitava a indossare il cliché della 'secchiona', ma trasformava questo cliché in un personaggio a tutto tondo, verso il quale era semplice provare un livello più o meno ampio di immedesimazione e di empatia. Un'empatia che, in misura tanto grande, era difficile avvertire per altri volti noti dei teen drama degli anni Duemila e dintorni: troppo esasperato (e a tratti esasperante) il Dawson Leery di Dawson's Creek, inevitabile 'vittima' di futuri meme; troppo lamentosa e autocommiserativa la sua amica del cuore Joey Potter (soprannominata non a caso Never a joy); troppo estremi e tormentati, con il loro piglio da moderni James Dean, il Lucas Scott di One Tree Hill e il Ryan Atwood di The O.C.; e sempre a Orange County troppo viziata e autodistruttiva Melissa Cooper, mentre Seth Cohen, pur essendo adorato dal pubblico, restava comunque relegato alla funzione di "spalla comica" (e di certo non dobbiamo neppure chiamare in causa gli insopportabili borghesucci del pessimo Gossip Girl, giusto?).
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Professione reporter
Rory, al contrario di quasi tutti i personaggi appena citati, si è limitata a vivere esperienze che non hanno un carattere di vera 'eccezionalità', ma che rispecchiano - nel bene o nel male - quelle di milioni di altre ragazze e ragazzi nella sua stessa fascia anagrafica. E soprattutto, mentre la maggior parte degli altri teen drama erano incentrati in primis sulle turbolente vicende sentimentali dei rispettivi protagonisti, con derive quasi inevitabili verso la soap opera, in Una mamma per amica la vita amorosa di Rory (e quella di sua madre), storyline indispensabile del genere di riferimento, è sempre stata perfettamente bilanciata con tutto il resto: la routine scolastica, i rapporti familiari e gli sforzi diretti all'agognato percorso professionale. E quest'ultimo è appunto uno degli elementi che ha reso Rory un'ideale 'portavoce' della sua generazione, o quantomeno di molti ragazzi nati nel corso degli anni Ottanta, cresciuti con l'amore per i libri e lo studio e con il desiderio di costruirsi un futuro corrispondente alle proprie attitudini.
Per tutte le sette stagioni di Una mamma per amica, Rory sfodera un impegno ammirevole e una determinazione di ferro pur di soddisfare le proprie aspirazioni: ottenere la miglior istruzione possibile; essere ammessa in una prestigiosa università (all'inizio il suo sogno è Harvard, ma poi a sorpresa deciderà di iscriversi a Yale); farsi valere sul campo fino a diventare una giornalista. Diversamente dalla maggioranza delle sue 'coetanee' televisive, per Rory la massima priorità non è fidanzarsi con il Principe Azzurro di turno, ma portare avanti questo progetto professionale ("Mia piccola Holly Hunter in Dentro la notizia", la chiama con orgoglio Lorelai). E al termine della settima stagione, quando Logan Huntzberger le chiede di diventare sua moglie, la nostra eroina, per quanto follemente innamorata, compie l'impensabile: dà un sonoro calcio all'happy ending tradizionale e, di fronte all'ultimatum di Logan, sceglie comunque di restare fedele alle proprie scelte. Rory, insomma, non si è mai limitata al ruolo di fidanzata o di moglie, ma ha sempre rivendicato un'indipendenza che le è costata più di un sacrificio sul piano sentimentale. Di quante altre ventenni della televisione, un decennio fa, avremmo potuto dire lo stesso?
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I peggiori anni della nostra vita?
Se Rory, pur fra errori e incidenti di percorso (il furto della barca, il temporaneo abbandono dell'università), ha rappresentato senz'altro un modello positivo per i giovani e giovanissimi spettatori 'cresciuti' insieme a lei, la miniserie Di nuovo insieme, come dicevamo in apertura, ha in parte incrinato questa immagine. Una narrazione valida, del resto, ha bisogno di basarsi su un conflitto, e in questo revival per Rory i conflitti non sono mancati affatto: ha un fidanzato, Paul, di cui non le interessa nulla e di cui spesso neppure si ricorda; è ricaduta nella 'trappola' del suo ex Logan, con il quale ha incontri occasionali benché entrambi siano già impegnati; e soprattutto - vero fulcro drammatico della miniserie - la sua carriera da giornalista stenta a prendere il volo, fra editori che non la ricontattano e compromessi accettati malvolentieri. Insomma, in un quadro tutt'altro che ottimistico la Rory di A Year in the Life, che fatica ad arrivare a fine mese e si sente addosso "l'odore del fallimento", continua a rispecchiare appieno speranze, paure e delusioni di noi Millennials. E, nello specifico, della prima generazione dei Millennials: i trentenni di oggi, ovvero gli individui nati nella prima metà degli anni Ottanta ed entrati nel mondo del lavoro in esatta corrispondenza con la crisi economica dello scorso decennio.
Quando, nel maggio 2007, si concludeva la settima stagione di Una mamma per amica, una Rory poco più che ventenne e neo-laureata si preparava a seguire la campagna elettorale di Barack Obama nel suo primo, vero incarico da reporter professionista; e Obama, un anno e mezzo prima del suo ingresso alla Casa Bianca, era già il simbolo di un desiderio di rinnovamento, il celeberrimo "Yes, we can", che partiva soprattutto dai giovani. La Rory del 2016 (e insieme a lei noialtri suoi coetanei) ha assistito invece alla peggior recessione finanziaria dell'epoca contemporanea, al declino del giornalismo tradizionale, alla morte della carta stampata e al tramonto dell'utopia del "posto fisso", perlomeno in certi ambiti professionali e sotto una certa soglia d'età. La Rory del 2016 vive il medesimo senso di precarietà e di insicurezza di quella generazione che ha difficoltà a mantenere una forma di indipendenza e non osa neppure cominciare a pensare di formarsi una propria famiglia.
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Ripartire da zero, con quattro parole...
La 'nuova' Rory è dunque una protagonista imperfetta, confusa e debole? Sì, perché quella stessa confusione e debolezza vengono sperimentate, per periodi più o meno lunghi, da tantissimi neotrentenni per i quali i brillanti risultati accademici non sono stati sinonimo di un'immediata affermazione professionale, e che non si sentono ancora pronti a cimentarsi con matrimoni e/o figli. Eppure, fra piccole e grandi sconfitte lavorative e un bovarismo dagli effetti talvolta masochistici, nei "racconti delle quattro stagioni" di Rory non c'è spazio solo per le sbandate e la disillusione. È vero, la nostra ragazza Gilmore prende decisioni discutibili, ma basta non fermarsi alla superficie delle cose per ritrovare in lei quelle virtù che ce l'avevano fatta amare fin dai primissimi episodi: l'umiltà di riconoscere errori e passi falsi; l'attaccamento perfino romantico alle proprie passioni e l'ostinazione nel volerle preservare a ogni costo (da qui l'avventura donchisciottesca con la Stars Hollow Gazette); la capacità di guardarsi dentro, di riflettere su se stessa e sulle proprie radici. E infine, e soprattutto, il coraggio di ripartire da zero e di reinventarsi, anziché crogiolarsi in facili crompromessi: che si tratti di riconoscere e mettere a frutto la propria vena di scrittrice o di impegnarsi a crescere un figlio, sull'esempio di un'altra giovane mamma idealista e, a suo modo, meravigliosa.
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