Una favola irriverente
Piccolo gioello di animazione della Dreamworks (alla quale fruttò 450 milioni di dollari di incasso solo nei cinema), Shrek è un' irriverente favola post-moderna che vive sul sottile equilibrio della parodia dell'universo favolistico, senza però infrangerne gli archetipi sotanziali.
Irriverente, è stato infatti l'aggettivo più usato per descrivere l'allegra e divertente storia dell'orco verde e del suo logorroico compagno: il ciuchino. E' proprio a questo personaggio, che è affidato l'incarico di smitizzare il mondo delle favole con la sua esuberanza linguistica e i suoi doppi sensi sessuali (ancora più espliciti, nel doppiaggio originale, eseguito da Eddie Murphy), oltre che naturalmente, alla stessa messa in scena e all'idea di fondo: la persecuzione e la tratta dei personaggi delle favole.
Sul piano della realizzazione tecnica il film è ineccepibile e all'avanguardia: dalla qualità dell'immagine, agli scenari. Tutto è studiato nei minimi particolari grazie al supporto della tecnica di animazione denominata Tradigitally, mediante la quale vengono fuse le tecniche tradizionali, con i nuovi artefatti digitali, fondamentali in termini di tridimensionalità e scorrevolezza delle immagini. Nello specifico, i meriti maggiori di questo salto in avanti, sotto il profilo della spettacolarità visiva, vanno rintracciati nello sviluppo di programmi come lo Sheder e il Flu, aventi lo scopo di conferire maggiore volume e verosimiglianza a tutti gli elementi di contorno.
Ma facciamo un passo indietro e ritorniamo al discorso che tanto ha smosso la critica all'uscita di Shrek: è questo un prodotto rivoluzionario? No, molto probabilmente no. Se lo è, lo è sotto il profilo tecnico (un po' come il primo, eccellente Matrix ), ma non sotto quello contenutistico-testuale. Seppur a dispetto di uno stile personale, furiosamente ammiccante e ricco di sfumature di ogni sorta; il film della Dreamworks, non ha la maturità poetica di un Toy Story, o la profondità de La città incantata - Spirited Away; di certo però è di una godevolezza e di un'ironia finissima, che lo renda appetibile anche ad un pubblico adulto e che in ogni modo necessita di una fruizione smaliziata.
Questa evocata rivoluzionarietà, è sicuramente più presunta che reale e mascherata dalla coperta corta di una trasgressività molto studiata a tavolino, furba ed evocante un postmodernismo un po' cialtrone e manieristico (a partire dalle musiche kitch e trendy, per finire alle plurime, inevitabili citazioni).
Far discernere da questa argomentazione, come molti hanno fatto, una risposta qualitativa non è però, del tutto corretto, perché il film, per quanto perfettibile, colpisce nel segno e se pur mantenendo immutate quelle che, qualcuno ben noto definirebbe: le caratteristiche morfologiche della fiaba, ci libera da una certa retorica pedagogica, tipica di molti prodotti Walt Disney.
D'altronde, non è solo la rottura con i canoni e l'innovazione, l'unico livello di analisi critica, specie per un prodotto di grande intrattenimento come un'animazione natalizia, a meno che non ci si rifaccia alla vecchia, cara estetica ed ai suoi dogmi teorici più inscalfibili.