Recensione Speed Racer (2008)

Si rimane storditi dall'avveniristico uso del virtuale: immagini riprese con speciali obiettivi a 360 gradi ricomposte al computer, effetti mai visti prima che sono riusciti a riprodurre l'altà velocità delle macchine da corsa con una verosimiglianza sbalorditiva.

Una corsa contro il tempo

Un film che fa letteralmente girare la testa, ma non nel senso più gergalmete positivo. Speed Racer, ultimo frutto del genio dei fratelli Wachowski (di nuovo insieme per sceneggiatura e regia dopo Matrix), inebria lo spettatore con effetti visivi più che spettacolari ma lo delude con una storia che non riesce ad appassionarlo.
Si rimane storditi dall'avveniristico uso del virtuale: immagini riprese con speciali obiettivi a 360 gradi ricomposte al computer, effetti mai visti prima che sono riusciti a riprodurre l'altà velocità delle macchine da corsa con una verosimiglianza fumettistica sbalorditiva. Ma il racconto non crea tensione e l'umorismo, delegato in linea di massima ad un bambino e una scimmietta, provoca a stento qualche risata e distanzia irrimediabilmente il pubblico dall'immedesimarsi.

La storia, ispirata alla serie cult d'animazione giapponese Go Go Macht 5, si basa sulle rischiose corse automobilistiche del "car-fu", gare ad altissima velocità dove i veicoli si sfidano in un percorso acrobatico fatto si rampe, salti, giri della morte e spirali avvolgenti. A primeggiare tra gli eroi dell'arena c'è il giovane talento delle corse Speed Racer (Emile Hirsch), un coraggioso e impulsivo corridore che lotta per vincere il Gran Premio e diventare un campione al pari del suo amato fratello maggiore Rex, morto proprio in un incidente d'auto.
Il successo di Speed sembra non avere limiti, la passione che lo accompagna sulle piste gli è stata tramandata da una famiglia ormai veterana dello sport, unico gruppo in gara rimasto indipendente dai mega sponsor e dalla corruzione che li circonda. L'ascesa del protagonista è però fermata dalla proposta d'ingaggio di una potentissima industria automobilistica, la Royalton, che il giovane rifiuta per rimanere fedele ai valori tradizionali di suo padre (John Goodman). Quel no gli costerà molto caro: Speed scoprirà che mettersi contro quell'azienda miliardaria e il suo eccentrico capo (Roger Allam) significa sfidare l'intero sistema, malato e corrotto, e mettere in gioco non solo la propria carriera, ma la sua stessa vita.
L'impavido protagonista non si fermerà davanti a niente, sostenuto dall'affetto incondizionato di sua madre (Susan Sarandon) e dal frizzante entusiasmo della sua ragazza, Trixie (una Christina Ricci versione pink lady), lotterà contro veri e propri sicari su quattro ruote per dimostrare che la vittoria appartiene al più veloce e non ad una sporca scommessa fatta dietro le quinte.

L'investimento su questo film è stato notevole, i 120 milioni di dollari spesi per riportare in vita l'anime anni Sessanta di Tatsuo Yoshida hanno permesso di avere un cast internazionale di grandi attori (oltre ai già citati, la popstar asiatica Rain e Hiroyuki Sanada, famoso per L'ultimo samurai) e una costruzione dell'immagine senza paragoni, ma l'eccezionalità dell'orchestrazione dei vari preziosi elementi crolla senza una struttura narrativa solida e un eroe in cui identificarsi.
Il personaggio interpretato dal bravissimo Emile Hirsch (Into the Wild) è sì spericolato e imprevedivile ma, allo stesso tempo, è anche troppo bravo ragazzo e fedele fidanzatino onesto e slavato, boccone poco appetibile per un pubblico ormai disincantato e avvezzo al mito di genio e sregolatezza dell'anti-eroe moderno.
È indiscutibile la genialità che ha incrociato il lavoro della regia alle potenzialità delle tecniche digitali riuscendo in un'impresa che ha toccato livelli di virtualità visiva mai azzardati sul grande schermo. Speed Racer ha reinventato un cartoon mantenendo il suo stile retrò e il suo taglio fumettistico, ma lo ha inserito in un eccezionale sovrapporsi di immagini a più dimensioni che sembra l'incredibile animazione di un libro delle fiabe pop-up, quello stupendo evolversi di mondi tra le pagine piegate ad arte dei vecchi volumi per bambini. Merito anche della fotografia (di David Tattersall) che mette a fuoco ogni elemento creando un effetto d'immagine, straniante per il grande schermo, che normalmente è possibile vedere solo nei cartoon, per opera della mano esperta di un disegnatore. Il film supera i limiti di velocità e quelli di concepibile innovazione visiva cinematografica, peccato che sbadatamente perde per la strada dialoghi, pathos narrativo e comicità.