Recensione Il genio della truffa (2003)

Senza sbavature, ma senza neanche particolari sussulti, il nuovo gradevole film di Ridley Scott, che dall'alto della sua enorme professionalità, si confronta anche con la commedia.

Un truffatore nevrotico e sentimentale

Il genio della truffa (in originale Matchstick Man), rappresenta una nuova scommessa per il regista inglese, americanizzato, Ridley Scott. La commedia è difatti, l'unico genere con il quale il grande Scott non si è mai cimentato e gli permette di rinfrescare un po' il suo cinema, ultimamente troppo irrigidimentato nelle convezioni mainstream. Dopo i recenti, discutibili kolossal, infatti, questo Il genio della truffa, presentato alla mostra del cinema di Venezia nella sezione Fuori Concorso, può rappresentare un importante punto di svolta.

Il film segue le vicende di un nevrotico artista della truffa (Roy alias Nicolas Cage), pieno di fobie e di manie igieniste e del suo arruffone complice (Frank alias Sam Rockwell). Tra i due però, si inserisce a sorpresa una figlia di 14 anni che il genio malato dell'ordine Roy non sapeva di avere, essendo stato abbandonato dalla moglie. Questa scoperta, insieme all'inserimento nella storia di un esperto psicologo, cambierà la vita di Roy, il suo rapporto con Frank e metterà in crisi la sua etica fino all'inaspettatamente, aspettato finale per un classico film di truffa.

Come se l'è cavata con tutto questo materiale il buon Ridley? Decisamente bene. Premesso infatti, che non stiamo parlando di un film indimenticabile ne per contenuti, ne per le sopravvalutate interpretazione degli attori, è innegabile che nel complesso la pellicola funziona alla perfezione, proprio in virtù dell'abilità registica di Scott. Personale e convenzionale allo stesso tempo, a tratti virtuosistica, altre volte quasi invisibile, la regia tende sempre all'equilibrio tra questi opposti, garantendo alla storia ritmo, scorrevolezza e una buona dose di pathos. Questa capacità di essere autori in un'industria del cinema che in qualche modo rifugge dall'estetica autoriale e dalle peculiarità registica dei prodotti, raggiunge il suo apice nella capacità di saper indirizzare l'ingombrante presenza scenica di un Nicolas Cage che si fa apprezzare, senza però riuscire mai ad evitare di accentuare i toni della sua recitazione. Se Cage, in qualche modo (grazie al suo ipnotismo e alla sua corpulenza) piace sempre anche in ruolo di maniera, decisamente una spanna sopra la convincente Alison Lohman nella parte di un'esuberante e volubile quattordicenne.

Da non dimenticare infine, il ruolo oscuro ma sicuramente decisivo di Robert Zemeckis al progetto, come produttore esecutivo. Il suo tocco è sempre garanzia di successo di pubblico.