Prosegue l'operazione nostalgia, pescando direttamente dal miglior immaginario cinematografico possibile: gli anni Novanta. Anni incredibili, ovviamente irripetibili. Un'operazione che attraversa trasversalmente sia il grande schermo che lo streaming; un dettame generale che - complici i titoli cult - tenta di accaparrarsi quanti più spettatori possibili. Così, tornando indietro, riecco le good vibes di una commedia sportiva che ha segnato il 1996 e che, complice Netflix, tornerà probabilmente in voga (peccato solo non ci sia più Blockbuster dove poterla noleggiare), spolverata e rivista in un film che - incredibile ma vero - funziona, diverte, emoziona.

Già perché Un tipo imprevedibile 2, diretto da Kyle Newacheck (il regista Dennis Dugan torna, ma solo come attore in un piccolo ruolo), riesce ad essere il miglior sequel possibile (nonostante l'insostenibile durata di due ore), considerando il carisma di un protagonista imprescindibile come Adam Sandler, tra i pochi attori in circolazione a fare la differenza su più livelli: interpretativo e produttivo. La vera domanda, però, prima di vedere il film, potrebbe essere un'altra: sentivamo il bisogno di questo sequel? A giudicare dal risultato, sì.
Un tipo imprevedibile 2: il ritorno di Happy Gilmore
La sceneggiatura di Tim Herlihy, firmata insieme ad Adam Sandler, mantiene intanto un certo spirito legacy, attualizzando un personaggio meravigliosamente anni Novanta. Come? Iniziando dal contesto famigliare. Ritroviamo Happy Gilmore quasi trent'anni dopo. La giacca d'oro è ancora lì, ma ormai l'incandescente golfista si è ritirato dall'attività. Del resto, nel golf, "anche quando sei al massimo puoi sbagliare un colpo". La sua amata Virginia (Julie Bowen) non c'è più - scoprirete il motivo - e si ritrova papà single di cinque figli.

Anno dopo anno (un incipit riassuntivo che vale la visione), in preda ad una depressione affogata nell'alcol, Happy si ritrova senza un soldo. Quando l'unica figlia femmina, Vienna (Sunny Sandler), decide di iscriversi ad una prestigiosa scuola di danza a Parigi, papà Happy non ha altra scelta: serve la grana, e serve tornare sul campo da golf per un nuovo torneo.
Un sequel che funziona

Torna al completo l'universo di Happy Gilmore (splendido lo Shooter McGavin di Christopher McDonald versione psicopatico, che in manicomio legge Shining, affrontando poi una sorta di catarsi determinante per l'andamento del film) e irrompono nuovi personaggi; in questo caso è curioso quanto oggi il cinema calchi sulle negatività di certe figure per declinare il perfetto villain. Come nel caso del rancoroso Frank Manatee interpretato da un grande Benny Safdie. Tra l'altro Un tipo imprevedibile 2 ha la capacità di prendere più strade e più svolte, tutte abbastanza centrate rispetto al cuore di un sequel che dura troppo (e infatti potrebbe arrivare stanco alla conclusione) ma che, intanto, punta a mantenere una certa identità, divincolandosi dalle solite produzioni Netflix in cui l'intrattenimento è tracciato seguendo solo e soltanto le indicazioni dell'algoritmo. Ecco, Adam Sandler è la negazione diretta dell'algoritmo stesso.
Sandler è il ritorno alle origini di un cinema pop duro e puro, che ragiona per eccesso: in questo caso il torneo finale (sembra quasi Squid Game), in cui spuntano pure campioni come Scottie Scheffler e Rory McIlroy, diventa un assurdo e spassoso swing dove si fonde "il vecchio" e "il nuovo". In mezzo, una sequela di gustosi camei (da Margaret Qualley a Ben Stiller ed Eminem), i sogni e i sogni spezzati e un quesito che artiglia ogni smorfia di un personaggio leggendario: davvero servono i soldi per inseguire i propri desideri? Cinicamente, la risposta è sì.
Meglio fortunati che bravi: filosofia di un golfista cult

A proposito di personalità, il look di Gilmore è parte del discorso: barba incolta, maglia larga dei Boston Bruins, tuta dell'Adidas, Timberland ai piedi. Tutto il contrario della formalità imposta da uno sport in cui la disciplina, la tradizione e la compostezza estetica non possono mai venir meno; un cortocircuito in cui il valore dell'outsider viene quindi esaltato, scaldando e coinvolgendo. Perché Happy Gilmore/Adam Sandler è uno di noi. Un legame capace di andare oltre la parentesi nostalgica, aprendosi ad una rivincita dai significati forse retorici, ma sempre e comunque profondi e universali. Del resto, ognuno di noi, navigando nelle difficoltà, è alla ricerca di un posto felice in cui trovare rifugio, lontano dalla cattiveria del mondo. Ed è così che "la favola continua". Happy Gilmore ha fatto tornare indietro le lancette del tempo, ricordandoci quanto sia meglio essere fortunati che bravi. Con un finale in pieno stile Sandler, tutto affidato all'indimenticabile musica di Tom Petty.
Conclusioni
Sì, il film è troppo lungo, arrivando forse un po' troppo stanco al finale. Tuttavia, Un tipo imprevedibile 2 è il miglior sequel possibile legato ad una delle commedie sportive simbolo degli anni 90. La nostalgia c'è e si vede, ma non sbraccia mai né tende a sormontare una storia che punta a divertire (soprattutto nella prima ora) senza rinunciare ad un filo di inaspettata commozione. Tutto merito della scrittura, dei molti camei e, soprattutto, di Adam Sandler. Il miglior outsider del cinema contemporaneo.
Perché ci piace
- Adam Sandler è una garanzia.
- Nella prima ora si ride molto.
- Un sequel con tutti gli elementi al posto giusto.
- I molti camei.
Cosa non va
- Dura davvero troppo.
- Il finale arriva quindi stanco.