Recensione The Medallion (2003)

Il nuovo film interpretato da Jackie Chan sembra purtroppo confermare la fase discendente della sua carriera: si divertirà probabilmente solo chi non conosce i trascorsi migliori dell'attore.

Un talismano senza molta magia

Con questa nuova pellicola, Jackie Chan prosegue nella sua ormai attivissima carriera hollywoodiana (questo è il terzo film interpretato dall'attore cantonese nel 2003, e altri quattro ne sono previsti per il prossimo anno); una carriera che, fin dall'inizio, si è caratterizzata per una precisa scelta di target (quello infantile-adolescenziale) e per una rincorsa a modelli vicini a quelli delle action-comedies statunitensi (quelli che hanno nei vari Arma letale i loro prototipi), sui quali Chan ha potuto innestare la sua simpatia e il suo indubbio magnetismo sul pubblico. Una scelta che ha portato all'attore buoni risultati commerciali, ma che ha inevitabilmente finito per scontentare molti suoi fans della prima ora: fin dai primi film, infatti, è apparsa evidente la rinuncia a gran parte della dirompente fisicità e al goliardico, anarchico umorismo che avevano caratterizzato gli episodi più riusciti della sua carriera ad Hong Kong.
Non fa eccezione questo nuovo The Medallion, coproduzione statunitense/cantonese affidata al bravo regista Gordon Chan e girata tra Hong Kong e Dublino. La storia (un'organizzazione criminale sulle tracce di un bambino in possesso di un misterioso amuleto, con due poliziotti che tentano in tutti i modi di fermarla) è piuttosto esile, e diviene ancora una volta poco più di un pretesto per mettere insieme un buon numero di sequenze d'azione e di gag più o meno riuscite, che hanno per protagonisti i due (prevedibilmente) male assortiti sbirri. La prima cosa che si nota, a questo proposito, è che l'elemento comico è stavolta appannaggio soprattutto del co-protagonista Lee Evans: a lui sono affidate gran parte delle gag disseminate nella sceneggiatura, mentre Chan sembra restare spesso sullo sfondo in un ruolo che forse vorrebbe essere più "serio" del solito, ma che risulta invece, purtroppo, carente di spessore oltre che di potenziale comico. Il secondo elemento che colpisce, purtroppo anch'esso negativamente, è un evidente calo della prestanza atletica di Jackie: calo probabilmente inevitabile, considerata l'età ormai avanzata dell'attore, ma lo stesso molto evidente, anche rapportato a pellicole di pochi anni fa. Resta purtroppo poco del funambolismo che aveva reso famoso Chan in tutto il mondo: qui l'attore tende a limitarsi, e si vede, le scene di lotta sono poco impegnative e spesso si affidano alla collaudata tecnica del wire-work (i "cavi" che permettono agli attori di volare, molto usati ad Hong Kong) o alla computer grafica. Un segno anch'esso dei tempi che cambiano, e in qualche modo un "tradimento" di una certa idea di cinema d'azione, da sempre prediletto da Jackie, tutto basato sulla forza fisica (non è un mistero il suo costante rifiuto di qualsiasi controfigura), in cui la tecnologia e gli effetti speciali restavano rigorosamente sullo sfondo.
Va detto comunque che il film tiene complessivamente un buon ritmo, grazie alla solida regia dell'"artigiano" Gordon Chan (tra i suoi film si ricordino la commedia Fight back to school interpretata da Stephen Chow, e il gongfupian Fist of Legend, remake del classico Dalla Cina con furore, con Jet Li come protagonista) e a sequenze d'azione comunque ben girate e coreografate, che vedono il ritorno di Sammo Hung (vecchia "spalla" di Jackie in una serie di fortunati film degli anni '80) nel ruolo di "martial arts director". Da segnalare anche la coppia di "cattivi" formata da Julian Sands (bravo, ma qui in un ruolo che certo non gli concede grossi spazi di recitazione) e da Anthony Wong, uno dei più stimati attori del panorama hongkonghese, anche lui sfruttato non certo al meglio delle sue possibilità.
Siamo di fronte, complessivamente, a una pellicola "usa e getta", con un protagonista ormai votato a una certa tipologia di cinema (e di pubblico), che sembra più che mai voler raccogliere i frutti di trent'anni di carriera che lo hanno visto colpevolmente ignorato dalla distribuzione occidentale. Resta l'amarezza derivata dal sapere che gran parte del pubblico non lo ha mai potuto apprezzare nel suo periodo migliore. Agli altri, non resta che riguardare i suoi vecchi film (compresi quelli inediti, e ce ne sono molti), continuando magari a sperare in qualche improbabile "colpo di coda".

Movieplayer.it

3.0/5