Recensione The King (2005)

Un'ordinaria storia di follia, sia in senso narrativo che realizzativo, in un film un pò troppo ambizioso, che si rivela un lavoro sicuramente dignitoso ma al di sotto delle proprie possibilità.

Un'ordinaria storia di follia

Di giorni di ordinaria follia gli States, e con loro anche il cinema d'oltreoceano, ne hanno vissuti molti.
A tutti quelli che vengono in mente di primo acchito, si aggiunge ora quest opera prima di James Marsh, abile documentarista approdato, dopo anni di carriera, al cinema di fiction. Il risultato di quest ennesima apertura su un retro bottega di una qualsiasi provincia più o meno rurale rimane in sospeso. Il film rifugge dai clichè moralisteggianti di un torbido vissuto che si svela al di sotto di una patina di presentabilità, si sottrae alla retorica trita di un facile giudizio preconfezionato. Seppur spiazzando per un'asetticità di giudizio e una successione sconcertante di snodi narrativi imprevedibili, la pellicola presenta molti aspetti che rimangono grezzamente tratteggiati e una realizzazione sicuramente non da urlo.
In scena si incontrano due interpreti di gran spessore. L'ottimo William Hurt, di recente impegnato in A History of Violence di Cronenberg, si presta generosamente come spalla al giovane, lanciatissimo Gael Garcia Bernal. Il duetto si dipana sullo schermo bilanciando in modo accurato la danza scenica dei due attori, che si servono della giovane Malerie Sandow come bertolucciano trade d'union innanzitutto fisico per costruire il proprio rapporto di padre e figlio. Non è un caso che le svolte, sia narrative che a livello d'impatto visivo, si abbiano con entrambi i personaggi in scena.

C'è un po' di tutto in un film che, pur rivelando una stoffa coraggiosa, pecca di presunzione. C'è il piccolo, becero, marcio mondo di provincia del miglior (peggior) Lynch, c'è una storia anonima e terribile di amore e morte alla Chabrol, si intravede qua e là una certa morbosità, una certa ossessione per la fisicità del peggior Bertolucci, si intravede, mescolato confusamente, la tematica edipica ormai quasi inflazionata nel cinema del nuovo millennio.
Una fotografia appena discreta e qualche caratterizzazione dello script un po' forzata completano il quadro d'insieme. Un quadro incorniciato da ottime prestazioni attoriali e da ottime intenzioni, che emergono chiaramente nel materiale assemblato per le sale, ma che mira troppo in alto, rendendo quel che poteva essere un ottimo film, un lavoro semplicemente discreto, sicuramente degno di nota per un regista (quasi) esordiente, ma che ha tutto il sapore di un'occasione (quasi) mancata.