Recensione Bandhobi (2009)

Il regista Shin Dong-il, da sempre attento a tematiche sociali, affronta con coraggio inusitato per il cinema sudcoreano l'argomento delle relazioni multietniche, affidandosi a uno stile minimale e ai piccoli gesti quotidiani per descrivere il particolare rapporto di 'amicizia amorosa' sbocciato tra i protagonisti.

Un'amicizia davvero speciale

La sequenza finale del film, in cui scorrono sovrimpressi i titoli di coda, è probabilmente la più significativa nel descrivere il rapporto d'amicizia del tutto particolare (tanto che viene impiegato il termine d'origine sanscrita bandhobi, usato per indicare una relazione di speciale affinità tra persone di sesso diverso) che si instaura tra i due teneri protagonisti del film: l'adolescente sudcoreana Min-seo, che vive una situazione di disagio familiare, e l'originario del Bangladesh Karim, che sperimenta sulla propria pelle i soprusi e le discriminazioni della condizione di migrante. Quando per la prima volta Karim ha preparato delle pietanze indiane per Min-seo, lei è rimasta un po' scioccata dal fatto che il suo amico utilizzasse direttamente le mani per portare il cibo alla bocca. Ma, adesso che si trova da sola in un ristorante indiano, a Min-seo viene quasi naturale provare a mangiare con le mani, per sentire l'effetto che fa, salvo dopo un po' tornare alle abituali posate. È racchiusa tutta qui la storia di Bandhobi, delicata commedia sentimentale del regista Shin Dong-il, sempre attento a indagare con le sue opere le spinose contraddizioni sociali del suo paese. La storia di una relazione che si sviluppa attraverso cauti e timidi avvicinamenti e molte ritrosie, nel tentativo di superare la reciproca diffidenza delle barriere etniche e di classe.

Il miglior pregio del film di Shin Dong-il è quello di descrivere l'evoluzione del rapporto emotivo e psicologico tra i protagonisti attraverso uno stile volutamente minimalista e realista, che si affida unicamente a piccoli, ma significativi, gesti della quotidianità, come la semplice condivisione di un posto in autobus. E sarà forse per questo che la gran parte dei conflitti di tipo culturale si dibattono attorno a una tavola, molto spesso imbandita. Dal locale specializzato in zuppe di maiale dove Min-seo invita incautamente il musulmano Karim, al fast-food americano dove la ragazza decide di far conoscere al suo amico un altro "straniero", ovvero un professore americano, con scarsi risultati. In quell'occasione Karim non riesce a definire Min-seo come la sua girlfriend. Sarà invece la ragazza, ma soltanto alla fine del film, a parlare di Karim come il suo bandhobi. Uno slittamento linguistico che descrive anche un progressivo contatto raggiunto tra due mondi così culturalmente distanti.

Shin Dong-il affronta con coraggio un argomento come quello delle relazioni interetniche che sembra essere quasi un tabù nella cinematografia sudcoreana, decidendo addirittura di affidare un ruolo da protagonista a uno degli "ultimi del mondo", un cittadino del Bangladesh, interpretato da Mahbub Alam, uno dei pochi attori e registi d'origine straniera a essere attivo in Corea del Sud, tanto da aver fondato addirittura un Festival cinematografico dedicato ai migranti. Sfortunatamente il regista non impiega la medesima attenzione alle sfumature e alla complessità dei piccoli dettagli anche per la descrizione del contesto sociale e politico, che difetta di un eccessivo schematismo e di una contrapposizione un po' troppo manichea tra "nativi" e "stranieri" e tra "lavoratori" e "padroni".
Si tratta tuttavia di limiti che non inficiano il ritratto dell'affettuosa e profonda "amicizia speciale" tra Min-seo e Karim, vero cuore pulsante del film, rappresentato in maniera autentica e sincera anche grazie alle convincenti interpretazioni di Baek Jin-hee e Mahbub Alam.