Naturalmente nel titolo abbiamo giocato coi luoghi comuni. Un senso, nei nuovi episodi de I segreti di Twin Peaks, c'è eccome, ma comprenderlo non è un gioco da ragazzi. David Lynch non ci aiuta per niente, anzi si diverte a farsi beffe dello spettatore. Verso il finale del quarto episodio Gordon Cole confessa candidamente al collega dell'FBI Albert Rosenfield (il compianto Miguel Ferrer): "Albert, odio ammetterlo, ma in questa storia non ci sto capendo niente". Figuriamoci noi! Tra scatole misteriose in cui si materializzano fantasmatici killer, improvvise esplosioni di violenza, slot machine impazzite e tre (!) Agenti Cooper - nessuno dei quali ha molto a che vedere con quello a cui eravamo abituati - c'è di che essere sgomenti. E in tutto questo... dov'è Twin Peaks?
Se i primi due episodi del revival avevano una funzione fondativa e riformulavano leggi e linguaggio della serie di culto degli anni '90 fornendo qualche appiglio - seppur minimo - ai nostalgici spettatori, proseguendo la visione ci sentiamo sperduti nello spazio profondo come Cooper in una delle sequenze più enigmatiche del terzo episodio. Quante dannate tazze di caffè nero e quante fette di torta alle ciliegie dovremo consumare prima di riuscire a intuire seppur vagamente cosa ci vuol comunicare David Lynch? Nel frattempo il regista tace, sogghigna, versa perfino qualche lacrimuccia commossa di fronte al calore del pubblico, ma il messaggio che trapela è forte e chiaro: "Scegliete l'interpretazione che più vi aggrada, sarà quella giusta. Saranno tutte giuste, tanto la verità non ve la dirò mai".
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Uno, nessuno, tre Agenti Cooper
La prima mezz'ora del terzo episodio di Twin Peaks contiene una dichiarazione di poetica coi fiocchi. Più che procedere nella visione dello show l'impressione è quella di assistere a un film muto, una sintesi allucinata del concetto di arte secondo David Lynch, un incrocio tra Eraserhead - La mente che cancella e 2001: Odissea nello spazio, ma immerso in un'atmosfera alla Metropolis. L'episodio si apre con l'Agente Cooper in caduta libera. L'abbandono della Black Lodge coincide con una fase di limbo in cui Cooper approda in un misterioso oceano rosa per poi imbattersi in una donna senza occhi che lo condurrà nello spazio profondo, su una piattaforma sormontata da una specie di ditale gigante, per poi sparire nell'universo. Ecco un saggio surrealista che non ha niente da invidiare a Bunuel in cui la narrazione viene sospesa per lasciare spazio a un accostamento di immagini e sequenze che sembrano procedere secondo la logica del sogno, o meglio dell'incubo.
Abbiamo accennato alla presenza di un terzo Agente Cooper. Oltre all'originale Dale Cooper, intrappolato da 25 anni nella Black Lodge insieme al simulacro di Laura Palmer e ad altre inquietati figure, e al suo doppelgänger malvagio e capellone, che se ne va in giro a uccidere la gente, a metà episodio compare un altro Cooper, corpulento e donnaiolo. Il personaggio è interpretato ancora una volta da Kyle MacLachlan, ma il suo nome è Dougie Jones. Si tratta di un marito e padre di famiglia di Las Vegas che ama un po' troppo il gioco d'azzardo e le prostitute il quale, dopo un improvviso malore, verrà sostituito dal vero Agente Cooper senza che nessuno, neppure la moglie, si accorga dello scambio di persona. Per l'altro il ritorno sulla terra di Dale Cooper coincide con un violento attacco di nausea che colpisce il suo doppio cattivo facendolo finire fuori strada. Le tre versioni dell'Agente Cooper sono strettamente interconnesse e anche se per il momento non ci viene dato modo di sapere se mai rivedremo l'originale, osserviamo come David Lynch, almeno in questa fase, abbia scelto di fare piazza pulita concentrando tutta l'attenzione del pubblico sul personaggio interpretato da MacLachlan. Nel quarto episodio scopriremo che l'eroico e intuitivo Cooper, dopo 25 anni di Black Lodge, si è trasformato in una brutta copia stordita e catatonica. Il cortocircuito si compie con un taglio netto - traumatico, per lo spettatore, divertentissimo (scommettiamo) per Kyle MacLachlan - nei confronti del passato.
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Tra conferme e nuovi arrivi, passato e futuro collidono
David Lynch opera per contrasti. Niente, nella sua produzione artistica, è rassicurante. Là dove angoscia e follia visionaria regnano supreme, però, il regista matura la consapevolezza di dover creare dei ganci col passato. Il simulacro della nostalgia è perfettamente rappresentato da Bobby Briggs (Dana Ashbrook), oggi canuto agente della polizia in forza al dipartimento di Twin Peaks, che scoppia in un pianto dirotto non appena scorge la foto della sua ex fidanzata Laura Palmer. Peccato che dopo la scoperta del cadavere, nella prima stagione, Bobby non sembrasse particolarmente affranto, distratto com'era dai suoi loschi traffici e dalla relazione con Shelley. David Lynch sembra quasi farsi beffe dei fan, mettendoli in guardia dal criticare la nuova stagione solo perché si discosta da un passato idealizzato. In tal senso è molto più positiva la ricomparsa di David Duchovny nei panni della transgender Denise Bryson, divenuta capo dell'FBI. Come ci dimostra il suo personaggio, nell'ottica lynciana il cambiamento spesso risulta positivo.
David Lynch ci presenta un Twin Peaks che non è più Twin Peaks e mette in piedi una reunion tra Gordon Cole e l'Agente Cooper che è quanto di più lontano da ciò che il pubblico ha bramato per oltre 25 anni. Cooper, o meglio il suo doppio cattivo, è dietro le sbarre. In arresto, dopo l'incidente avvenuto in South Dakota. "È molto bello rivederti, vecchio mio" biascica Cooper. "È molto, molto bello rivederti ancora, vecchio mio" replica Cole. Non è così che dovrebbe andare eppure dopo 25 anni Cole si ritrova davanti non il vero Cooper, ma la sua versione malvagia e ambigua. Quando gli viene chiesto cosa ha fatto in tutto questo tempo, Cooper afferma di aver lavorato sotto copertura insieme al collega Philip Jeffries. Altro campanello d'allarme. A interpretare l'Agente Jeffries, in Fuoco cammina con me, era la rockstar David Bowie il cui personaggio sembra essere strettamente connesso al Cooper malvagio. Bowie avrebbe dovuto partecipare al revival di Twin Peaks, ma è morto prima di poter girare le sue scene. David Lynch non rinuncia, però, alla sua presenza invisibile indicando nella capacità di adattamento l'unica forma di adesione possibile alla sua nuova creazione.
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I camei non sono quello che sembrano
Dopo quella con Kyle MacLachlan, gli episodi 3 e 4 di Twin Peaks ospitano un'altra reunion fondamentale per David Lynch, quella con Naomi Watts. La bionda sensuale di Mulholland Drive si trasforma qui in madre e moglie premurosa e un tantino nevrotica. Il suo marito è il fedifrago Dougie Jones. Dopo averla resa protagonista di alcune delle sequenze più sensuali del suo cinema, stavolta Lynch la mette al centro delle scene più ironiche e divertenti. La donna, infatti, non sembra accorgersi che quello che ha fatto ritorno a casa non è il marito e accoglie un Agente Cooper al minimo delle facoltà mentali notando solo come, dopo due giorni di bagordi al casinò, sia dimagrito. La colazione del mattino dopo, quella che vede il primo incontro tra Cooper e il suo amato caffè (che non riesce più a bere come si deve), ripropone la tipica atmosfera da famiglia americana media con tanto di pancakes, musica e mug con su scritto "Sono la tazza di Dougie". Tutto troppo perfetto per essere vero. Visti i precedenti di Naomi Watts in Mulholland Drive e la rapida scomparsa del vero Dougie nella Black Lodge viene da chiedersi... quello che stiamo vedendo sarà reale?
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Nel frattempo Lynch piazza a Twin Peaks il cameo più gustoso tra quelli visti fin ora. Nella seconda stagione dello show avevamo lasciato Lucy, la segretaria dello sceriffo Truman, incinta dell'agente Andy. Adesso facciamo la conoscenza del figlio ventiquattrenne, Wally Brando, interpretato da Michael Cera. Il nome non è casuale. Wally è nato lo stesso giorno di Marlon Brando e se ne va in giro per gli Stati Uniti in moto vestito come il suo mito ne Il selvaggio. La tappa a Twin Peaks serve a omaggiare lo Sceriffo Truman (l'originale, interpretato da Michael Ontkean, che non ha fatto ritorno nella serie). Imitando il tono di Brando, Michael Cera afferma di aver fatto tappa a Twin Peaks per omaggiare il suo padrino: "Ho sentito che è malato. Sono venuto a portare i miei saluti al mio padrino e ad augurargli una pronta guarigione, che mi auguro sarà rapida e indolore". Ad accoglierlo è l'altro Sceriffo Truman, il fratello di Henry, interpretato da Robert Forster, scelto inizialmente per il ruolo nel 1990 e costretto a rifiutare per problemi di schedule. A stranezza corrisponde stranezza. Al nucleo familiare di Naomi Watts, alle prese con un marito regredito al pari del figlio, corrisponde la scenetta di Wally Brando, che snocciola il suo monologo intriso di poetica alla Kerouac ("il mio dharma è la strada") affiancato dagli orgogliosi genitori Andy e Lucy. Il tutto con un effetto davvero straniante. Non è un mistero che la famiglia, nei mondi di Lynch, non sia mai stata un porto sicuro. Laura Palmer docet.
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Quel caffé dannatamente buono ora ci servirebbe proprio
Giunti al quarto episodio possiamo azzardare affermando che non solo Twin Peaks è radicalmente mutata rispetto al passato, ma che è cresciuta di pari passo col genio del suo autore, o meglio, dei suoi autori visto che a dar manforte a David Lynch vi è l'imprescindibile Mark Frost. Se da un lato man mano che avanziamo nella visione la terra ci trema sotto i piedi, non possiamo non riconoscere una complessità, una raffinatezza, una densità che ci fanno intuire come Lynch abbia raggiunto una nuova dimensione creativa. Esplorando la giungla lynchiana, pian piano i pezzi del puzzle vanno al loro posto. Un puzzle multiforme, fluido, pronto a essere rimesso in discussione a ogni nuova trovata del regista dal ciuffo argenteo. Lynch gongola, consapevole che per quanti indizi possa spargere sotto il naso del lettore, questi si troverà spaesato, inebriato dalle sue creazioni surreali, spiazzato dalla sua tagliente ironia. Eppure, nel suo delirio visivo, il regista gioca a carte scoperte e detta la linea indicando con precisione il posto dello spettatore nel suo universo. Non ci credete? Basta ripensare un attimo al duplice omicidio che inaugura la nuova stagione, quello del giovane impiegato che ha il compito di tenere d'occhio la misteriosa scatola di vetro e alla sua amica curiosa che fa di tutto pur di entrare nel segretissimo luogo di lavoro a fargli compagnia. I due giovani non sono altri che due spettatori chiamati a osservare un simulacro del piccolo schermo. Come Lynch ribadisce in continuazione, non sta a lui spiegare il senso del suo lavoro, ma al pubblico interpretarlo. A quanto pare le distrazioni, specie di natura sessuale, non sono ammesse. Il regista sembra ammonirci sadicamente: osservate, godete della visione, interpretate ciò che state vedendo, ma fatelo a vostro rischio e pericolo. E non dite che non vi abbiamo avvertito.
Movieplayer.it
4.5/5