Tutto chiede salvezza è sicuramente una delle produzioni italiane di Netflix che può vantarsi di essere un loro fiore all'occhiello per aver saputo equilibrare commedia e dramma, parlando di un argomento in parte sdoganato in parte ancora troppo tabù: la salute mentale. Tutto partiva dalla storia autobiografica di Daniele Mencarelli, raccontata prima nel romanzo omonimo uscito nel 2020 e in seguito nell'adattamento streaming, che torna con una seconda stagione dal 26 settembre.
Stagione che è stata presenta in anteprima, proprio come era successo con la prima, a Giffoni Film Festival 2024, perché i primi destinatari di questo racconto sono proprio i giovani e le nuove generazioni che rappresentano la kermesse. Noi di Movieplayer.it abbiamo incontrato per l'occasione i protagonisti Federico Cesari e Fotinì Peluso, interpreti di Daniele e Nina, prima pazienti ora genitori della piccola Maria, già in crisi con tanto di avvocati messi in mezzo e dediti allo studio, tanto che lui deve iniziare un tirocinio come infermiere proprio presso il TSO dove è stato ricoverato. Cinque episodi per cinque settimane. Ecco cosa ci hanno raccontato di questo passaggio nella nostra intervista.
Tutto chiede Salvezza 2: intervista a Federico Cesari e Fotinì Peluso
I ricordi sono parte di noi, a volte ci aiutano ad andare avanti, altre ci tengono troppo ancorati al passato. Dice Federico Cesari: "Ho tantissimi ricordi della prima stagione, è stata soprattutto una grande scoperta di tante persone. C'è tanto mare soprattutto nella mia memoria, lunghe passeggiate sul lungomare, lunghi confronti su di noi, su tutto quello che provavamo nei giorni delle riprese, su ciò che ci spaventava e sulla volontà in qualche modo di staccare emotivamente dalla sofferenza che mettevamo in scena e quindi cercare un contatto emotivo spostato sotto un altro asse. Sono quindi soprattutto i momenti fuori dal set perché sono quelli in cui rimetto le mie emozioni rispetto a ciò che interpreto".
Anche Fotinì Peluso ricorda soprattutto le persone, ma non solo quelle davanti la macchina da presa: "Non solo il cast ma anche e soprattutto la troupe. Non dimentichiamoci che dietro un set c'è tutto un mondo, con cui abbiamo condiviso tantissimo durante entrambe le stagioni, siamo diventati davvero molto amici. Questo devo dire è un aspetto tipico dei set di Francesco Bruni, che sono molto sereni e conviviali. Non è stato difficile entrare in contatto con il mondo che ci circondava. Ovviamente ho anche conservato il ricordo della persona che ero quando abbiamo girato la prima stagione. Anche io, come Nina, ho subito un'evoluzione e una crescita rispetto a quando abbiamo girato la seconda".
Pazienti e infermieri, come attori e registi
Come dicevamo, nella stagione 2 di Tutto chiede salvezza Daniele e Nina passano dall'altra parte della barricata, per così dire. Studiano entrambi, e lui fa anche il tirocinio ospedaliero. Un po' come a volte certi attori sentono la necessità di passare dall'altra parte della macchina da presa dopo l'esperienza accumulata negli anni. Un percorso forse simile che richiede una buona dose di coraggio, conoscenza e rischio. Ne è convinto Cesari: "Direi che conoscere in primis la materia che stai trattando sicuramente aiuta. Da entrambe le parti sei sia soggetto che oggetto, sia entità creatrice che entità che subisce qualcosa. Questo succede sia da paziente e attore che da infermiere e regista. Penso sia alla base di quando si crea un processo di scambio: c'è sempre un dare-avere, una parte creativa e un attingere dall'altro".
Continua: "In passato pensavo che avrei fatto il medico: mi sono laureato in medicina. Questo è proprio l'esempio lampante di ciò che cerco all'interno del mio lavoro, ovvero un'indagine umana, di uno scambio, un contatto, un confronto che avviene in entrambi i casi. Daniele è sicuramente aiutato dall'essere stato paziente e quindi conosce quali sono i bisogni dell'altra parte, come accade agli attori quando compiono il grande salto diventando registi. Da una parte una volontà creatrice che ci spinge, che dev'essere più forte della pura curiosità, perché vuol dire sentire il bisogno di essere in qualche modo l'artefice in maniera un po' più totalizzante di un progetto artistico. Dall'altra parte quando si è ricevuto tanto da paziente, si ha la voglia di restituire altrettanto come altra figura sanitaria".
Anche Daniele Mencarelli ora è pronto a scrivere un capitolo tutto nuovo in tv attraverso il suo alter ego sullo schermo, cosa che nel romanzo non succedeva. Sempre esperienza autobiografica? Ce lo svela lo scrittore: "Il libro è uscito nel 2020 e io ho passato gli ultimi quattro anni a girare per tutta Italia in luoghi di cura e comunità, soprattutto tante dedicate ai giovani, non solo riguardo la malattia mentale ma anche le dipendenze. Non esiste miglior maestro di chi ha vissuto dall'interno un determinato fenomeno. Nella storia la scelta di far diventare Daniele un tirocinante infermiere deriva proprio dalla volontà di fondo nell'aver conosciuto tanti educatori che operano in ambito sociale e hanno fatto questo passaggio, vivendo una legittimazione che non è solo formale, istituzionale, un titolo di studio, ma anche derivante dall'aver vissuto rispetto a tanti fenomeni che riguardano la nostra epoca due fronti. Questo dà loro uno sguardo d'insieme, mi permetto di dire, totale rispetto a chi lo ha parziale e magari, con tutto il rispetto, lo vive solo in ambito istituzionalizzato. Credo questo sguardo d'insieme sia un aspetto fondamentale per approcciarsi a tanti temi".
Visto che parliamo di salute mentale, che spesso viene associata alle sfumature della vita, quale colore può rappresentare al meglio la seconda stagione? Guarda caso per Fotinì è il verde (speranza) e per Federico e Daniele l'azzurro. Tutti i colori del mare, lo stesso dei ricordi del protagonista.