Tulsa King, la recensione: il fascino del mafioso Sylvester Stallone è il motore dello show di Taylor Sheridan

La recensione di Tulsa King: all'esordio da protagonista sul piccolo schermo, Sylvester Stallone interpreta un mafioso del Bronx larger than life catapultato in Oklahoma; i primi due episodi su Paramount+ dal 25 diicembre.

Tulsa King, la recensione: il fascino del mafioso Sylvester Stallone è il motore dello show di Taylor Sheridan

Nel 1971 un giovane Sylvester Stallone che muoveva i primi passi a Hollywood si è proposto come comparsa per Il padrino, ma è stato scartato. Dato che la vendetta è un piatto che va servito freddo, ci sono voluti oltre 50 anni prima che il divo approdasse al ruolo dei sogni interpretando un gangster affiliato a Cosa nostra in Tulsa King, la nuova creatura del Re Mida del piccolo schermo Taylor Sheridan. Quello di Dwight 'Il Generale' Manfredi, mafioso che esce di galera dopo 25 anni e si ritrova catapultato dal Bronx a Tulsa, in Oklahoma, per riapparecchiare le sue attività criminali, è un omaggio alle sue radici italoamericane e un inno al suo carisma.

Tulsa King Sylvester Stallone Caffe
Tulsa King: Sylvester Stallone sorseggia un caffè in una foto della serie tv

Taylor Sheridan cuce il mondo di Tulsa King addosso a Sylvester Stallone come ha fatto con Kevin Costner per Yellowstone, ma mentre i personaggi secondari di Yellowstone hanno progressivamente acquisito spessore, superando in gradimento il patriarca della famiglia Dutton, nel caso di Tulsa King è chiaro fin dai primi minuti che la serie non ha motivo di esistere senza il suo protagonista. A 75 anni, Stallone ha carisma da vendere. In pochi possono permettersi di regalarsi una serie tutta loro dopo aver bazzicato ben poco la tv nella loro carriera, ma la star di Rocky e Rambo non si limita a ciò. Abilmente coadiuvato da Taylor Sheridan, che ne sa una più del diavolo, il divo ammette candidamente che Dwight Manfredi, crimine a parte, è il personaggio che più gli somiglia nella vita reale. Vedere Stallone giocare col proprio fascino stagionato, fare il cavaliere con le donne che gli capitano a tiro e adeguarsi faticosamente ai ritmi e alle invenzioni di un mondo moderno che non gli va troppo a genio è un vero piacere. Ma è quando Dwight sfodera il proprio caustico humor che la serie raggiunge i suoi picchi.

Una serie trascinante fin dai titoli di testa

Tulsa King Sylvester Stallone Jay Will
Tulsa King: Sylvester Stallone e Jay Will in una scena

La sequenza dei titoli di testa di Tulsa King basterebbe da sola a far innamorare il pubblico. Sulle note del tema di Danny Bensi e Saunder Jurriaans dal sapore western, marchio di fabbrica di Taylor Sheridan, si alternano immagini dell'esistenza newyorkese di Dwight Manfredi - il carcere, i grattacieli, il ponte di Brooklyn, il traffico della Grande Mela - in toni bluastri on all'interno incastonati in giallo brillante i simboli di Tulsa, il deserto, i nativi, i cavalli e la statua del Golden Driller. Questa dicotomia tra metropoli e provincia americana serpeggia in tutto lo show ed è fonte di spunti comici, soprattutto nei nuovi episodi. Catapultato in una realtà che non conosce, Dwight Manfredi prova a ricreare una rete criminale sul modello di quella newyorkese spiazzando gli abitanti della sonnacchiosa cittadina, ma ben presto dovrà imparare a fare i conti con cowboy, motociclisti e nativi nervosetti.

Tulsa King Sylvester Stallone Fluo
Tulsa King: Sylvester Stallone in una scena

Il tema del mafioso catapultato in una realtà a lui avulsa che lo vede come un pese fuori d'acqua era stato già proposto qualche anno fa con Lilyhammer, serie norvegese che vedeva Little Steven catapultato nel gelo norvegese col programma protezione testimoni dell'FBI. Ma Tulsa King non si limita a sviluppare questo (debole) spunto iniziale bensì fa leva sul gusto di Taylor Sheridan e dello sceneggiatore Terence Winter per la soap opera sviluppando intrecci secondari tra i personaggi in cui Dwight si imbatte a Tulsa, dall'eccentrico autista afroamericano Tyson (Jy Will) al ruvido barista di Garret Hedlund, dallo strafumato venditore di marijuana Bodhi (Martin Starr) alla tormentata poliziotta Stacy (Andrea Savage), che sviluppa un debole per i gangster.

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Tulsa King Sylvester Stallone Muretto
Tulsa King: Sylvester Stallone seduto su un muretto

Se il nuovo mondo di Tulsa sembra risucchiare Dwight Manfredi fin da quando mette piede sul suolo dell'Oklahoma, il suo passato non sembra volerlo abbandonare tanto facilmente. C'è la sua famiglia criminale, guidata dal padrino Pete Invernizzi e dal figlio Chickie, e c'è la famiglia vera, da cui Dwight si è separato accettando di scontare venticinque anni di carcere per coprire il suo boss. Gli incontri/scontri tra amici, nemici e familiari danno il via a una serie di dinamiche sempre più complesse che imprimono una deriva drammatica alla serie. Questa miriade di personaggi, affidati spesso ad attori di talento come Vincent Piazza, Max Casella o il veterano Barry Corbin, non hanno mai lo spazio per essere approfonditi adeguatamente, ma vengono incasellati in un ruolo stereotipato: il mafioso, il motociclista, il cowboy. Quella che a prima vista può sembrare una debolezza sul piano narrativo si rivela, di fatto, un punto di forza proteggendo la centralità del personaggio di Dwight Manfredi, fulcro e motore di tutte le storie. Perché perdere tempo con le altre figure quando abbiamo a disposizione Sylvester Stallone?

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Andrea Savage Tulsa King 2
Tulsa King: Andrea Savage in una scena

Seppur con qualche concessione alla vanità - dopo la notte di sesso, apprendendo la vera età di Dwight, Stacy confessa che non gli avrebbe dato più di 55 anni (!?), Sylvester Stallone usa Tulsa King per rivendicare il suo status di divo e anche per togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Il suo Dwight non nasconde la refrattarietà ai congegni del mondo moderno, da Uber alle app, e si ritaglia perfino lo spazio per una tirata contro la mancanza di obiettivi delle nuove generazioni e contro il "proliferare di pronomi". Tulsa King non contiene elementi innovativi, anzi, fa dello stile retrò la sua bandiera. A immagine e somiglianza del suo protagonista, la serie si concede un ritmo rilassato e piazza qua e là le battute giuste preparando il terreno per intense sene d'azione e improvvisi scoppi di violenza. Le cose, per Stallone, si fanno alla vecchia maniera e Tulsa King funziona alla perfezione. E allora perché cambiare?

Conclusioni

La rivincita di Sylvester Stallone passa attraverso il piccolo schermo, come indica la nostra recensione di Tulsa King. L'accoppiata Stallone-Taylor Sheridan si rivela vincente con uno show vecchio stile, ricco di humor, azione e violenza, che punta su un protagonista a immagine e somiglianza del suo protagonista. Con un divo larger than life come Stallone basta poco per far funzionare una serie alla vecchia maniera che non stanca mai.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.4/5

Perché ci piace

  • Sylvester Stallone ha carisma da vendere e qui dà il meglio di sé.
  • L'alternanza di humor, dramma e azione funziona alla perfezione.
  • I titoli di testa sono spettacolari.

Cosa non va

  • Con l'attenzione tutta concentrata sul protagonista, molti personaggi secondari non sono approfonditi.