Follia e paura possono mischiarsi gli uni con gli altri? Quando si guarda a opere del calibro di Senua's Saga: Hellblade II, si pensa sempre che quella sottile linea tra cinema e videogioco esista davvero. Il medium dell'opera di Ninja Theory è quello videoludico: lo studio piega i tratti cinematografici per offrire un prodotto che abbia un impatto deciso. A fare da sfondo all'introduzione dell'opera, ci sono le composizioni musicali degli Heilung, un gruppo musicale tedesco famoso per essere uno dei più talentuosi nel ricreare le atmosfere giuste. Senua, scendendo dalla nave di schiavi che l'ha condotta nell'oblio islandese, è accompagnata da quelle musiche rituali che sono state utilizzate nel primo trailer pubblicato nel 2019. È l'impatto scenico a fare il resto, compresa la regia che, sin dal primo istante, concentra la cinepresa sui dettagli come il corpo martoriato della giovane, o la desolazione del luogo, con la pioggia battente che dà il benvenuto in questa poesia scaldica scandita dai colpi fragorosi e brutali del metallo vichingo l'uno contro l'altro.
Esattamente come The Northman, l'apprezzato film di Robert Eggers, Senua è spinta da una missione: salvare il suo popolo dalla costante tratta di schiavi nelle Isole Orcadi. Amleth, al contrario, è spinto dalla vendetta: le tre frasi della morte che lo conducono nel luogo più remoto del mondo permette di comprendere cosa spinga la sua lama. "Ti vendicherò, padre. Ti salverò, madre. Ti ucciderò, Fjiolnir". Una poesia che diventa una promessa, per poi tramutarsi in incubo per gli avversari, per l'uomo che uccise il suo amato padre, rubandogli la corona. Entrambi sono spinti da motivazioni chiare e incontrovertibili: rendere libere le loro anime. La Mitologia Norrena, in entrambe le opere, assume un ruolo di pregio nel racconto, esaltando le caratteristiche più pregiate di entrambe le produzioni. Tutt'e due, pur arrivando da medium diversi, si sfiorano e s'incastrano, ma nessuno dei due prevale sull'altro, perché le intenzioni di Ninja Theory e di Robert Eggers sono diverse. In che modo, tuttavia, s'incontrano? Perché parliamo di anologie, sebbene siano opere derivanti da media opposti?
Senua's Saga: Hellblade II, un videogioco di grande regia
Come abbiamo accennato, è la regia a essere alla base dell'intero impianto narrativo. Nel caso di Senua's Saga: Hellblade II, infatti, ciò che lo differenzia è l'interazione tipica del medium cui appartiene, con il giocatore che preme i tasti per arrivare a un obiettivo. Ninja Theory insegna che è fondamentale camminare in quell'oblio prima di compiere una scelta gravosa: lo si comprende sin dal primo istante, quando Senua, una volta risparmiato lo schiavista che l'aveva costretta a quella lunga tratta (meglio evitare spoiler), si ritrova a dover fare i conti nuovamente con le sue voci. La protagonista è flagellata da quel canto assordante che le percuote le sinapsi e l'anima. La regia del team, già nel precedente capitolo, lo aveva messo chiaro: Senua soffre di un disturbo brutale, che le fa avere allucinazioni.
Non si sa cosa sia reale, oppure no: tutto è presentato affinché il giocatore veda, ascolti e senta le sensazioni della protagonista. Ogni caratteristica più esaltante viene raccontata con freddezza, mentre la cinepresa di Ninja Theory trasporta in quella desolazione, facendo sentire perduti. Robert Eggers, con The Northman, intercede invece su altro: a martellare la mente di Amleth è la vendetta, mentre quelle tre frasi affilate quanto una lama appoggiata sul collo definiscono il suo animo contorto, da bestia assetata di sangue. La digressione di Eggers conduce ben oltre Amleto di Shakespeare: è una cinepresa che si concentra sul percorso evolutivo del protagonista e sul suo viaggio. Amleth evolve attraverso il sangue, la sola valvola di morte che lo fa respirare, poiché ha perso tutto. Nel creare adeguatamente il personaggio, Eggers si è concentrato sul suo corpo: è un personaggio fisico, martoriato da cicatrici e ferite, come a dimostrare quanto sia stato complesso sopravvivere nell'ombra, mentendo sulle sue origini. È un cuore scalpitante di vendetta, il suo, che gli batte nel petto così forte e a un ritmo sostenuto che gli fa capire di essere ancora vivo.
Quel sangue che versa riempie la coppa del suo odio, poiché è incapace di amare: la costruzione del personaggio, nella prima parte del film, si basa su questo. È un essere vuoto che Eggers ha riempito solo di sudore, volontà e morte. Con Senua, che è considerata una portatrice di sventura dal suo popolo sin da quando era giovane, il fato è stato più nefasto. Ha amato, ma Dillion, il suo amore, l'è stato strappato. Le rimangono le voci che non la lasciano, e che ora sono Islanda con lei, tra giganti usciti direttamente dalle saghe vichinghe e dalle poesie scaldiche.
L'incontro tra cinema, videogioco e letteratura
Ma come, pure la letteratura? Andiamo per ordine. Se Hellblade: Senua's Sacrifice era visivamente meno contenuto, il secondo capitolo sfrutta gli elementi cardine del cinema, sia nell'esposizione del racconto, volutamente didascalico à la Brian De Palma, nonché similare - com'è mostrato anche nel menu principale dell'esperienza - al The Northman di Robert Eggers in termini espositivi. Tutto è suddiviso in capitoli: ognuno racconta un momento, seguito poco dopo da un cliffhanger (o climax, per chi è di qualche eone fa). In parole povere, si tratta di un colpo di scena: sia nell'opera di Eggers che in quella di Ninja Theory questo metodo narrativo, tipico della letteratura, è usato molto, dosato in modo intelligente. A essere utilizzato a dovere, infatti, è la natura stessa del montaggio, a sua volta strutturata in maniera fluida, proprio per dare enfasi a ogni istante.
L'incontro tra i due media, dunque, avviene soprattutto in questo intrecciarsi di eventi: i momenti colpiscono, ammutoliscono e percuotono, ma danno il tempo necessario per assimilare cosa accade. La struttura, in entrambe le opere, è una matrioska di media: letteratura, cinema e videogioco che esplodono su schermo e dimostrano che nessuno di essi prevale sull'altro. Senua's Saga: Hellblade II è il perfetto esempio di questo approccio non più tra trattenuto nel suo media di appartenenza, ma tra media che si equivalgono, non più quindi equidistanti, bensì uniti dal filo conduttore: la regia.
Un parallelo inaspettato
Il parallelismo fra Senua e Amleth, com'è chiaro, è dovuto al percorso evolutivo dei protagonisti. Il loro vissuto non è analogo, ma è cosa sono stati costretti a compiere che li rende simili. Nel primo capitolo, Senua affronta gli dèi e le sue stesse paure, entrando in un vortice che non si comprende se sia reale, o se è tutto nella sua testa, come se il racconto fosse volutamente criptico. Il secondo capitolo chiarisce, invece, che cosa vede Senua è reale: c'è un livello, in Senua's Saga: Hellblade II, che ha permesso di comprendere meglio cosa si avesse davanti. La giovane Pitta non era più incaricata di salvare il suo popolo, bensì di ridare all'Islanda la libertà, poiché schiacciata dal tallone dei giganti e dal misticismo di un uomo che nell'ombra mente al suo stesso popolo. Le storie di Druth, il suo mentore, l'hanno accompagnata fino a quel momento. Amleth, al contrario, è cresciuto da solo, accettando la sconfitta ben prima della vittoria.
È l'incontro con dei nuovi personaggi a cambiarli definitivamente. Disincantata e delusa dal mondo, Senua è sicura di non potersi più affidare a nessuno, se non alle sue voci, delle amiche e delle nemiche al tempo stesso; mentre Amleth impara ad amare proprio nel momento in cui sta per perdere tutto, riuscendo a trovare del colore in quel freddo gelo che era la sua esistenza. La Mitologia Norrena, presente ma mai estrema come in altre opere del calibro di Vikings, cammina a fianco di entrambi i personaggi. Quelle di Amleth e Senua sono storie scritte nel sangue, delineate per mostrare che, alla fine del viaggio, contano le connessioni con gli altri invece dei desolanti isolamenti che li ha costretti a non potersi più affidare a nessuno. Sono racconti che, tra i media accennati nel corso dell'articolo, si amalgamano grazie ai loro protagonisti, elementi cardine del viaggio. È la vita a essere al centro di tutto, non più la fine: la morte l'hanno già conosciuta.