Con Omega Station, ottavo episodio della durata di un'ora e mezza, siamo arrivati al finale di questa seconda stagione di True Detective, una seconda annata molto discussa e criticata che ha ovviamente risentito dell'inevitabile, e in parte sicuramente ingiusto, confronto con la prima ma soprattutto di un intreccio non sempre facilissimo da seguire. Nei prossimi giorni parleremo più approfonditamente della stagione 2 nel suo complesso, per il momento concentriamoci su questo season finale che chiude le fila di quanto raccontato nei 7 episodi precedenti e cerca di non lasciare nulla al caso.
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Il presidente della HBO Michael Lombardo nei giorni scorsi si era detto molto ottimista (tanto da quasi confermare una terza stagione) e convinto che questo episodio otto non avrebbe deluso i suoi spettatori. Difficile che questo finale possa mettere d'accordo tutti, anzi probabilmente finirà col far discutere tanto quanto i precedenti se non di più, ma di certo si tratta di un episodio di buon livello, forse il migliore dell'intera stagione, curato nella regia come nello script (Nic Pizzolatto si permette anche di citare Casablanca con quel "Maybe not today and maybe not tomorrow" e il regista John Crowley fa lo stesso con Viale del tramonto e l'inquadratura dalla piscina che ha fatto la storia del cinema) e con un'ultima mezz'ora molto potente e di grande tensione. Ma è davvero il finale "estremamente soddisfacente" che ci era stato promesso?
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Un'avventura inutilmente complicata
L'avevamo "anticipato" la scorsa settimana nel nostro articolo sull'episodio 7 e infatti così è stato: i due orfani dei gioiellieri uccisi durante la rapina del 1993 sono i veri assassini di Ben Caspere, celati dietro due personaggi che abbiamo visto, molto brevemente, nel terzo episodio della stagione, sul set del finto film, il fotografo di scena e la segretaria di Caspere stesso. Si tratta quindi di una vendetta e non una cospirazione, e molto di quanto ci è stato raccontato non ha avuto in realtà un ruolo nell'omicidio ma è stato casomai una semplice conseguenza dello stesso.
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Ma d'altronde il caso stesso è stato sempre un susseguirsi di false piste e vicoli ciechi, perché mai il finale dovrebbe essere diverso? Quindi perché stupirsi che dei diamanti blu non ci sia traccia alcuna o che l'hard disk sia in realtà assolutamente vuoto e inutilizzabile e che in realtà nemmeno i cruenti dettagli dell'omicidio di Caspere avessero in realtà un significato ben preciso? Tutto questo in fondo rende tutto più beffardo e probabilmente anche più tragico, ma di certo non necessariamente soddisfacente visto che questa personalissima vendetta è stata portata avanti da persone che non conosciamo a danni di altri di cui non ci interessa granché.
Non è l'unico caso di personaggi centrali e fondamentali per le indagini che in realtà hanno avuto pochissimo tempo sullo schermo (si pensi anche a Tony Chessani, uno dei potenti dietro il sipario), ma se per alcuni spettatori non è stato poi tanto difficile arrivare a scoprirne l'identità - è bastato in fondo andare per esclusione - come ci arrivino i detective Velcoro e Bezzerides è tutt'altro discorso, visto che non sembra esserci nessun reale indizio a supportare quest'intuizione (per di più fulminea nel momento in cui vengono a sapere della morte di Woodrough) che però è fondamentale per la prosecuzione del caso. Si tratta di semplice istinto oppure anche i due detective sono andati avanti, proprio come noi, completamente a caso, sperando di azzeccarci in mezzo ad un groviglio di nomi? D'altronde, come ci viene ricordato nel corso dell'episodio, nessuno si aspettava che questi due detective fossero così competenti.
"Meritiamo un mondo migliore"
Ciò non toglie che una volta che questo famigerato e intricato caso può essere finalmente lasciato alle spalle, per di più con un'affascinante sparatoria nella stazione di Anaheim, l'episodio e la serie non possono che migliorare, visto che possiamo semplicemente dedicarci ai destini dei nostri protagonisti: destini che ormai si sono definitivamente incrociati ed intrecciati e che non promettono nulla di buono, soprattutto considerato la missione suicida che Ray e Frank sono intenzionati ad intraprendere pur di assicurarsi un futuro solido. O forse perché non sono mai stati bravi a scappare o a fare gli imprenditori o i detective, ma sempre e soltanto ad uccidere.
La resa dei conti con Osip e McCandless, ma anche il saluto tra i due "amici", funziona benissimo, soprattutto perché asciutta e silenziosa, e perfettamente coerente con quello che sono e sarebbero dovuti essere i due personaggi; ma in fondo, per una volta, anche il dialogo tra Frank e la moglie Jordan - nonostante alcuni momenti involontariamente comici come il lancio degli anelli o Kelly Reilly che "dice" a Vince Vaughn "tu non sai recitare", ovviamente già diventato un meme - convince, nonostante i dialoghi e le interpretazioni continuino ad essere fin troppo intense e fredde per essere sufficientemente realistiche.
Dall'altra parte Rachel McAdams e Colin Farrell si raccontano a vicenda i traumi e gli scheletri del passato, si prendono per mano e si lasciano andare addirittura a dei sorrisi e ad un (incauto) ottimismo per un futuro in Venezuela. Anche qui la svolta romantico/drammatica funziona, così come la scelta di Velcoro di andare a salutare il figlio un'ultima volta, pur sapendo nel cuor suo di rischiare la stessa vita. Nel caso di Ray, così come per Woodrough nell'episodio precedente e in un certo senso anche per Frank, il passato e i sentimenti condizionano fortemente il suo destino e, inevitabilmente, ne causano la morte. Una morte, peraltro, già predetta dal padre nei minimi dettagli nel sogno lynchiano all'inizio del terzo episodio.
La Luce sta ancora vincendo?
Ani invece sopravvive perché il passato l'ha sempre tenuto a bada, distante (come lontani sono ora la sorella e il padre), e sopra ci ha costruito sopra una rabbia, un desiderio di vendetta, un distacco che le hanno permesso di sopravvivere, di diventare una detective tosta e irreprensibile ma anche una donna fredda e scostante. Nel momento in cui con Ray c'è la possibilità di costruire qualcosa di diverso, Bezzerides è effettivamente pronta a mettere da parte quella cautela che l'ha accompagnata per anni pur di aiutare e aspettare il suo nuovo partner; ma alla fine sceglie comunque di partire, di onorare la volontà di Ray e quel rapporto breve ma speciale che la lega e la legherà per sempre a lui. Perché Ani, come già immaginato in altre occasioni, è la true detective di questa stagione ed è a lei che spetta un ruolo importante, quello del riscatto finale.
Sì, perché nonostante tre dei quattro protagonisti siano morti e che i corrotti siano ovviamente ancora al potere, rispetto al finale di stagione precedente c'è comunque una differenza sostanziale: Rust e Marty avevano trovato l'assassino ma non era riusciti nemmeno a scoprire (figuriamoci fermare!) tutti coloro che erano coinvolti, qui invece la stagione termina con Ani che incontra un reporter del Los Angeles Times e gli consegna tutte le prove e i documenti che aveva conservato nonostante i pericoli. È un finale cupo, triste, ma non senza speranza. Perché se i detective della prima, memorabile stagione potevano dire "Una volta c'era solo l'Oscurità: adesso la Luce sta vincendo", a maggior ragione la nostra Bezzerides può ancora sperare che il mondo diventi migliore, esattamente come ci meritiamo.
Movieplayer.it
4.0/5