Non è semplice elaborare una riflessione critica propriamente detta su un film quale Transformers - L'ultimo cavaliere; o perlomeno, non lo è nel 2017. In questa prospettiva, un decennio può rappresentare una distanza quasi siderale: dieci anni esatti, infatti, sono passati dal capostipite Transformers, in cui i celebri giocattoli della Hasbro venivano 'riesumati' in un'opera che appariva soprattutto come una riproposizione dello spirito ingenuo e squisitamente ludico tipico di un certo immaginario targato anni Ottanta.
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Dieci anni e quattro film più tardi, Transformers è una saga multimiliardaria che può contare su un vastissimo bacino di pubblico, pronto ad accorrere con cieca fedeltà all'uscita di ciascun nuovo capitolo della serie, a dispetto dell'inarrestabile emorragia di consensi da parte della stampa specializzata: una sorta di appuntamento fisso (con tanto di ennesimo sequel già in cantiere) realizzato secondo formule standard che costituiscono il marchio di fabbrica del regista Michael Bay e del suo agguerrito team, prontamente supportato dai potenti mezzi dell'Industrial Light & Magic.
Da Camelot alla distopia: cavalieri di ieri e di domani
E la suddetta formula risulta ormai talmente prevedibile e cristallizzata che sarebbe superfluo addentrarsi nei risvolti narrativi di Transformers - L'ultimo cavaliere; tanto più che tali risvolti appaiono talmente avulsi dai principi di logica e coerenza interne da svuotarsi ben presto di ogni valore intrinseco. La trama, a partire da un prologo in stile Il trono di spade ambientato nella Camelot di Re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda (in sostanza l'unica, vera innovazione del film, seppur minima), rimane dunque a mo' di esile canovaccio riassumibile a fatica (ma ci proviamo comunque), in base al quale Optimus Prime ha lasciato la Terra, i Transformer sono stati dichiarati fuorilegge, il Cade Yeager di Mark Wahlberg si nasconde insieme agli Autobot in quanto ricercato dalle autorità (nello specifico una nuova organizzazione militare creata ad hoc, la Transformers Reaction Force), i Decepticon continuano a fare capolino con intenti minacciosi (e finiscono addirittura per allearsi con la TRF, va' a capire), il pianeta Cybertron si sta avvicinando pericolosamente alla nostra orbita e, per qualche bizzarro motivo, è indispensabile rintracciare e recuperare un oggetto appartenuto a... mago Merlino!
L'universo dei Transformer e le leggende di Camelot: un'operazione di sincretismo culturale? Tranquilli, Michael Bay non arriva a tanto, ma si limita a infondere qualche suggestione dal sapore ancestrale (evidentemente il successo de Il trono di spade non è passato inosservato) in un meccanismo produttivo che, a prescindere dai gusti, aveva prosciugato da tempo tutte le sue riserve di originalità. Pertanto, verso la metà della sua impegnativa durata (due ore e mezza, e si sentono tutte), il film vira di colpo in direzione di sentieri pseudo-storici sulla falsariga de Il codice da Vinci, con Cade Yeager affiancato per l'occasione da una nuova comprimaria, la professoressa Viviane Wembly (Laura Haddock), una docente di letteratura inglese trentenne (!) dell'Università di Oxford, guarda caso pure un po' snob: in pratica uno stereotipo vivente, che se non altro conferma la scarsa dimestichezza di Bay e dei suoi sceneggiatori rispetto alla costruzione di personaggi femminili (non che quelli maschili siano dei pozzi di profondità psicologica, intendiamoci).
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Mark Wahlberg sulle tracce di mago Merlino
Ovviamente, le interazioni/schermaglie fra Yeager e la Wembly sono corredate dai soliti sottotesti sessuali all'amatriciana: certe dinamiche da "guerra dei sessi" potrebbero far pensare a un omaggio alla screwball comedy (no, scusate, non ci crediamo neanche noi), ma gli esiti sono più che altro da farsetta scollacciata, con tanto di "equivoci uditivi" di un manipolo di impettite signore inglesi ansiose di origliare i presunti, rumorosi amplessi consumati in una biblioteca giusto durante l'ora del tè (ebbene sì, il tono è precisamente questo). A risollevare la "linea comica", per fortuna, ci pensa il buon Anthony Hopkins, che pur limitandosi alla consueta auto-parodia dei suoi personaggi tipo (indovinate un po'? Esatto, un distinto aristocratico erudito e benevolo dalla battuta sempre pronta) porta con sé una salutare ventata di ironia e riesce a strappare perfino qualche sorriso, mentre i protagonisti si arrovellano per scoprire in pochi minuti la sorte e l'attuale ubicazione del bastone di mago Merlino, con una rapidità che farebbe impallidire Robert Langdon.
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Come con tutto ciò (e con la ricerca del "sacro legno") abbiano a che vedere pure Leonardo da Vinci, William Shakespeare e una divinità robotica e crudele di nome Quintessa (una "cattiva" con lo spessore dell'Incantatrice di Suicide Squad, per intenderci) ci viene illustrato più o meno confusamente nell'immancabile paio di spiegoni, sonnacchiose parentesi fra le scene d'azione che riempiono la quasi totalità del film. E tornare a soffermarsi su tali scene d'azione, così come sull'idea di estetica cinematografica di Michael Bay (che piaccia o meno) e sul suo approccio alla materia narrativa, nel 2017 e dopo altre quattro pellicole analoghe sarebbe - appunto - davvero pleonastico: il "modello Transformers" è ormai un brand ben conosciuto, e L'ultimo cavaliere non offre di sicuro variazioni tali da giustificare ulteriori disamine al riguardo. Chi ha amato il primo Transformers e ha gradito (o ha avuto quantomeno la pazienza di sopportare) tutti i capitoli successivi, difficilmente resterà deluso; tutti gli altri, invece (oh, happy few!), possono astenersi gioiosamente e senza rimpianti...
Movieplayer.it
2.0/5