C'è un peculiare filone, all'interno del genere del biopic, riguardante le storie di personaggi coinvolti in scandali mediatici o inchieste giudiziarie, e spesso impegnati a lottare contro un 'sistema' di qualche tipo (nel caso specifico, la chiusura di una parte del mondo accademico rispetto alla libera circolazione di contributi scientifici). Si tratta di un filone frequentato con frequenza perfino eccessiva da parte del cinema americano, ma che in Italia sembra essere relegato all'ambito delle produzioni televisive; pertanto, rappresenta una sostanziale eccezione il film di cui ci accingiamo a parlare nella nostra recensione di Trafficante di virus, diretto da Costanza Quatriglio, che dopo il passaggio al Festival di Torino sarà distribuito come evento speciale nelle sale dal 29 novembre all'1 dicembre, per poi approdare su Amazon Prime Video.
La storia di Ilaria Capua raccontata da Costanza Quatriglio
Alla base dell'opera c'è un libro quasi omonimo: Io, trafficante di virus - Una storia di scienza e di amara giustizia, autobiografia pubblicata nel 2017 dalla virologa ed ex-deputata Ilaria Capua, finita al centro dell'attenzione pubblica proprio negli anni immediatamente precedenti, fino alle sue dimissioni dalla Camera dei Deputati nel 2016. Costanza Quatriglio, che al mondo della ricerca scientifica aveva già dedicato nel 2013 il cortometraggio Con il fiato sospeso, ha riadattato il testo della Capua in coppia con Francesca Archibugi, rompendo la linearità cronologica attraverso una narrazione a segmenti che si sposta avanti e indietro nel tempo, fra il 1999 e il 2016, per ripercorrere l'ascesa professionale di Ilaria Capua; quest'ultima nel film si chiama però Irene Colli (un 'mascheramento' francamente inutile) e ha il volto di una valida e misurata Anna Foglietta.
La scelta di una struttura in cui si intrecciano analessi e prolessi costituisce uno degli elementi di forza di Trafficante di virus, che nell'approccio e nello stile pare guardare appunto al modello del docu-drama hollywoodiano: dal ritmo piuttosto serrato del racconto, pur concedendo gli adeguati spazi alla descrizione del contesto lavorativo e familiare, alle venature da thriller che emergono nell'incipit, con tanto di sequenze dai filmati dell'attentato dell'11 settembre 2001 al World Trade Center, e in seguito nel momento in cui Irene scopre di essere oggetto di un'indagine insieme ai suoi colleghi di laboratorio. Sul piano della scrittura e della regia, in effetti, l'intento di Costanza Quatriglio pare proprio l'allontanamento da certe convenzioni del biopic televisivo italiano nell'ottica di realizzare invece un film più asciutto e teso, privo di sbavature sentimentali.
Alfredino, Anna Foglietta: "La pornografia del dolore ci rende persone brutte"
Davide e Golia nel mondo della ricerca scientifica
Ad emergere, nel corso della storia, sono temi quali il confronto/scontro con una realtà rigida e conservatrice e la difficoltà di conciliare vocazione professionale e vita privata. Se il secondo nodo viene 'risolto' con l'unione fra Ilaria/Irene e il dirigente farmaceutico Sean McGuire (l'attore scozzese Michael E. Rodgers), è il primo a diventare il fulcro attorno a cui ruotano le vicende della protagonista e del suo "braccio destro" Giacomo Costa (Andrea Bosca); ma paradossalmente, è proprio questo aspetto a suscitare qualche perplessità per il modo in cui è sviluppato. Al di là dei suoi sforzi per sdoganare la pratica dell'open access, perché una scienziata così preparata e brillante subisce costanti azioni di ostracismo, viene boicottata da numerosi membri della comunità scientifica e rischia di veder danneggiate irrimediabilmente la propria reputazione e la propria carriera? Purtroppo, il conflitto-chiave viene ridotto a un braccio di ferro alla Davide e Golia di cui però il film fatica a spiegare le ragioni e a illustrare i meccanismi in maniera davvero approfondita.
Ne risulta un taglio manicheo in cui lo sgradevole dottor Ferrari di Roberto Citran è niente più che l'antagonista ambiguo ed ipocrita di turno, costruito apposta per incarnare quel "fronte interno" che si rivelerà il maggiore ostacolo di Irene; mentre al subplot sul giornalista Sandro (Paolo Calabresi) è riservata l'unica funzione di informare lo spettatore sull'inchiesta condotta sulle attività di Irene all'insaputa dell'interessata. L'opera della Quatriglio lascia dunque il rimpianto per un tentativo ammirevole, ma portato avanti solo a metà: la decisione di aderire totalmente alla prospettiva di Irene, infatti, se da un lato accresce la nostra empatia verso la protagonista, dall'altro conduce il film sui binari fin troppo rassicuranti dell'agiografia, cancellando ogni possibilità di chiaroscuro.
Da Snowden e Spotlight a 150 milligrammi: inchieste e scandali al cinema
Conclusioni
Come abbiamo espresso nella recensione di Trafficante di virus, la sensazione è quella di un esperimento più coraggioso del consueto, perlomeno nel panorama italiano, ma ancora non abbastanza raffinato per convincere su tutta la linea.
Perché ci piace
- Uno stile e un approccio narrativo che sembrano guardare più al modello dei docu-drama americani che non a quello delle produzioni italiane contemporanee.
- La scelta di costruire il racconto mediante una struttura temporale non lineare.
- L’efficace interpretazione di Anna Foglietta nel ruolo della protagonista.
Cosa non va
- Una certa difficoltà ad approfondire e rendere davvero stimolante il conflitto al cuore della storia.
- Lo schematismo che porta a dividere le forze in campo fra “buoni” e “cattivi” e a trasformare il film in una classica agiografia.