La vita è imprevedibile. Anche quelli che pensano di avere il controllo della situazione possono restare spiazzati dalle sorprese che può riservarci. Infinite le variabili, troppe le persone che in un modo o nell'altro ci gravitano intorno influendo direttamente o indirettamente sulla nostra esistenza, con le loro azioni, le loro decisioni, i loro drammi e problemi di ogni natura. La vita, con questa sua imprevedibilità, ci porta a cambiare, a mettere da parte le nostre sicurezze per adattarci ad essa, al fluire del tempo che passa inesorabile e fluido sotto i nostri occhi.
La regista francese Mia Hansen-Løve, a dispetto della sua giovane età, ha dimostrato nella sua breve filmografia di saper raccontare il tempo che passa in vari modi. L'ha fatto concentrandosi sui cambiamenti della giovane età, più potenti e incontrollabili, più naturali ed ovvi, ma si avvicina con l'ultimo lavoro Things to Come, presentato in concorso all'edizione 2016 del Festival di Berlino, anche su un personaggio più maturo e consapevole di sé. E lo fa con altrettanta sicurezza e sensibilità, tratteggiando la personalità di una donna sulla sessantina profondo e sfaccettato.
Cambiare vita a sessant'anni
Ci sono molti motivi per cui nell'avvicinarsi alla fase più matura della propria vita si può decidere di cambiare, ma per Nathalie, insegnante di filosofia appassionata, sposata con due figli, non è una pulsione interiore la causa della rivoluzione, quanto piuttosto una serie di spinte esterne. Prima di tutto la crescente senilità della madre, sempre più incapace di vivere sola e in autonomia, un degrado che passa dalle molteplici telefonate al giorno alla figlia a quelle più insostenibili ai vigili del fuoco; in secondo luogo le pressioni del proprio editore per realizzare una versione più aggiornata e moderna dell'antologia scolastica da lei scritta anni prima e ancora molto usata, seppur in fase calante; infine la decisione del marito, messo alle strette dai figli, di lasciare casa e trasferirsi con l'amante.
Tra passione e ironia
Quello che funziona meglio nel racconto messo in piedi dall'autrice in Things to Come è proprio la figura di Nathalie, che rappresenta il fulcro della storia e funziona grazie soprattutto alla consueta bravura della sua interprete Isabelle Huppert: l'attrice riesce a tratteggiare le sfumature del personaggio, ed in particolare a incarnare alla perfezione il registro leggero che la regista ha scelto per la pellicola. Anche nei momenti più drammatici, infatti, il racconto non si fa mai pesante nei toni, mantenendo una (auto)ironia sottile e efficace, oltre che una capacità di dare profondità, spessore e significato ai piccoli dettagli quotidiani della vita dei personaggi, momenti in cui non viene raccontato nessuno sviluppo particolare, ma che arricchiscono il racconto e definiscono le figure che lo animano.
Queste ultime, le persone che ruotano attorno alla Huppert funzionano ugualmente con diversi gradi di compiutezza: su tutte, infatti, svettano Edith Scob nei panni della madre Yvette, attrice che avevamo già potuto apprezzare nel folle Holy Motors, e André Marcon in quelli del marito Heinz con il suo tono dimesso ma efficace. Un po' meno convincente la figura di Fabien, ex studente di Nathali e ora suo protetto, interpretato da Roman Kolinka, ma più per problemi di scrittura che non riescono a dargli profondità che per mancanze proprie dell'attore.
Filosofia di vita
La leggerezza nel tono si accompagna anche a riflessioni di natura socio-politica introdotte dai dialoghi, arricchite da citazioni di Rousseau e Pascal senza mai lasciarsi andare a derive intellettuali e perdere l'approccio a cui abbiamo accennato. Che si parli di diritto alla pensione, incertezze sul futuro o la gestione del gatto della madre di Nathalie, il sapore delle scene e dei dialoghi resta il medesimo. Una scelta che funziona soprattutto nel primo segmento del film, quella che descrive i diversi problemi che montano nella vita della protagonista, mentre perde un po' di intensità in una seconda parte leggermente meno riuscita. Se lo è, meno convincente, è perché l'evoluzione di Nathalie, della sua vita e del film dopo che la bufera ha scosso le certezze del suo modo di essere dedica maggior peso narrativo al personaggio di Fabien, che, come detto, ci è parso meno rifinito e compatto in termini di scrittura.
Things to Come resta comunque un film riuscito nel suo complesso, capace di raccontare una figura femminile originale e concreta, riuscendo a emozionare e far riflettere senza pesantezza, con una delicata grazia che conquista e conduce lo spettatore nella fase di cambiamento della vita della sua protagonista.
Movieplayer.it
3.5/5