The Witcher è una bestia strana, non meno delle bizzarre creature a cui dà la caccia Geralt di Rivia. Abbiamo finito di vedere la nuovissima serie targata Netflix e in questa recensione del finale di The Witcher vogliamo spiegarvi perché ha tutte le carte in regola per diventare il punto di riferimento per il fantasy sulla popolare piattaforma di streaming. Ispirata ai racconti brevi di Andrzej Sapkowski, la serie Netflix in otto episodi getta soltanto le basi per la storia che l'autore polacco ha raccontato nella saga omonima, composta da cinque volumi, e che presumibilmente sarà trasposta nelle stagioni successive.
Il finale, infatti, dà letteralmente inizio a questo ciclo di storie, intrecciando i destini dei vari protagonisti già nei titoli di testa: tutti gli emblemi mostrati all'inizio dei capitoli precedenti si fondono nell'arcinoto logo della serie.
Lo sfolgorante season finale
L'ottavo e ultimo episodio della prima stagione si concentra soprattutto sull'assedio di Sodden: i maghi uniscono le forze per difendere il bastione dall'avanzata nilfgaardiana, affidando a Yennefer il comando strategico dello scontro. L'eroina sfoggia un'ennesima dimostrazione della sua crescita rispetto ai primi episodi, sebbene i frequenti salti temporali lascino solo intendere che sia diventata un'abile condottiera, oltre a una maga potentissima. Il ritmo è incalzante: dapprincipio vediamo i maghi prepararsi allo scontro, che esplode quindi in una ferocia crescente, diventando sempre più brutale man mano che trascorrono i 60 minuti circa dell'episodio. Gli effetti speciali e la computer grafica continuano a barcollare, ma la regia di Marc Jobst e la sceneggiatura di Hissrich fanno faville grazie a un impiego astuto e creativo della magia, tra portali aperti per trasmettere una pioggia di frecce da un punto all'altro, sacrifici umani, ampolle scagliate come molotov alchemiche e altri incantesimi estremamente spettacolari.
In questo senso, la battaglia dipinge un quadro molto più sinistro dell'impero di Nilfgaard che in tutto il resto della stagione. Ogni mago importante ha la sua occasione di brillare durante la battaglia, sebbene Triss Merigold continui a rimanere sorprendentemente nell'ombra rispetto a personaggi come Tissaia, Vilgefortz o Fringilla. Yennefer, ovviamente, fa la parte del leone, soprattutto nelle ultime battute quando, proiettando una vampata incandescente di immane potenza distruttiva, sembra scomparire nel nulla, lasciandoci col fiato sospeso fino alla prossima stagione. L'assedio di Sodden è, insomma, la parte migliore di un season finale che inciampa ogni volta che la scena si sposta su Geralt e Ciri. Il primo passa gran parte del tempo in preda alle allucinazioni: morso da un Ghoul per proteggere un mercante che lo ha aiutato, Geralt rivive alcuni momenti della sua giovinezza che ci mostrano anche sua madre Visenna.
Ciri, invece, si risveglia circondata dai cadaveri dei ragazzi che hanno provato a molestarla alla fine del precedente capitolo. I suoi poteri si sono manifestati con conseguenze mortali e appaiono instabili. Soccorsa da una donna di passaggio che le si affeziona subito, la giovane è condotta a una fattoria dove potrebbe ricominciare una vita tranquilla, ma decide di proseguire il suo viaggio alla ricerca di Geralt... ignara che il Witcher stia proprio arrivando alla stessa fattoria. Jobst gioca con un montaggio che rimanda soltanto di pochi secondi il fatidico incontro, infatti Geralt e Ciri si abbracciano finalmente poco prima dell'epilogo. È tuttavia una riunione che manca dell'impatto emotivo che avremmo desiderato. La struttura della stagione ci ha visto seguire Geralt nelle sue avventure per gran parte del tempo, e soltanto negli ultimi episodi ha assunto una maggiore importanza la ricerca di Ciri. Ironicamente, non è l'abbraccio a chiudere con un certo stile l'episodio, ma la domanda che Ciri rivolge a Geralt un attimo prima dei titoli di coda: "Chi è Yennefer?".
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Una serie TV per tutti
Quella di The Witcher è un'epopea che nasce sulla carta ma che in tutto il mondo è diventata veramente famosa quando lo sviluppatore polacco CD Projekt Red ha ottenuto i diritti per realizzare una trilogia di videogiochi a partire dal 2007. Una trilogia che si è compiuta nel 2015 con lo straordinario The Witcher III: Wild Hunt, consacrando definitivamente quella che era una saga tutto sommato di nicchia agli onori - e agli oneri - del mainstream. La serie televisiva di The Witcher, in un certo senso, è figlia della popolarità assunta dall'opera di Sapkowski in questi ultimi anni, ma col videogioco non ha nulla a che fare, soprattutto perché la trilogia videoludica si svolge molto tempo dopo. E questo è sicuramente uno dei punti di forza di questa serie: non si rivolge solo ai fan dei romanzi o dei videogiochi, ma a un pubblico molto più ampio che magari non ha mai sfogliato un libro fantasy o impugnato un controller.
L'adattamento televisivo non strizza gli occhi all'uno o all'altro medium, limitandosi a svolgere il proprio compito: portare sullo schermo, e in carne e ossa, l'immaginario di Andrzej Sapkowski e un fantasy europeo che già da solo contribuisce tantissimo all'originalità di un contesto diverso da quelli cui siamo abituati. Forse troppo poco "gritty", sporco, soprattutto per quanto riguarda costumi e trucco, per rendere credibile l'atmosfera medievaleggiante, ma comunque curato e ricercato in quei piccoli dettagli che prendono le distanze da serie simili nella scelta delle location, dei panorami e della direzione artistica in generale. Chi ha letto i racconti brevi cui si ispira la serie, in particolar modo Il guardiano degli innocenti e La spada del destino, probabilmente noterà diverse discrepanze e darà loro il peso che meritano secondo la propria sensibilità, ma tutti gli altri difficilmente avvertiranno la necessità di una narrativa complementare che faccia da sostegno alla visione.
Il problema del tempo
In questo senso, però, è facile rimanere spaesati se non si conosce minimamente la storia di The Witcher. La serie segue essenzialmente tre storyline separate che lentamente vanno a intrecciarsi fino a congiungersi quasi del tutto nel season finale. Il problema è che questi tre archi narrativi - quello di Geralt, quello di Yennefer e quello di Ciri - non si svolgono sempre contemporaneamente, ma anche a anni e anni di distanza, solo che non c'è nulla che definisca i salti temporali in quelli che potrebbero essere veri e propri flashback e flashforward. Il montaggio e la sceneggiatura sembrano suggerire che quello che accade nei primi episodi si svolga nello stesso lasso di tempo, anche se in luoghi diversi, ma dopo qualche puntata ci si rende conto che la questione è molto più intricata solo se si presta molta attenzione ai dialoghi, alle personalità e alle località nominate.
Lauren S. Hissrich, lo showrunner della serie TV, ha affermato di confidare nell'intelligenza degli spettatori, ma dobbiamo ammettere che la narrazione serrata non aiuta assolutamente a distinguere i salti temporali nelle storyline. E ciò avviene principalmente per due motivi. In primo luogo, l'arco narrativo di Geralt, che dovrebbe essere il principale protagonista, è caratterizzato da un'impostazione episodica quasi autoconclusiva per cui diventa più difficile collocare le sue avventure nel quadro più generale. E in seconda istanza, mancano alcuni suggerimenti visivi basilari: nonostante passino anche più di dieci anni tra una storyline e l'altra, alcuni personaggi non invecchiano e appaiono sempre uguali: se questo ha senso nel caso dei maghi come Yennefer e Saccoditopo, molto meno ne ha se consideriamo che la regina Calanthe (Jodhi May) ha lo stesso aspetto in momenti molto distanti della sua vita che sono tuttavia fondamentali nello sviluppo e nella comprensione della storia.
E alla fine si incontrarono
Una volta assorbita questa meccanica narrativa molto particolare, però, The Witcher fila che è una meraviglia fino all'ultimo episodio e si lascia guardare con grande piacere, al netto di qualche imperfezione visiva specialmente per quel che concerne gli effetti speciali: i mostri, per esempio, appaiono molto più validi quando la produzione ricorre a trucchi e maschere, meno se si affida alla computer grafica. Gli effetti speciali sono in generale più che sufficienti, specialmente nell'ultimo episodio con la sua spettacolare battaglia campale, così come le coreografie che mescolano combattimenti all'arma bianca con incantesimi e altre abilità soprannaturali. La storia è avvincente fino all'ultimo minuto, e si resta incollati alla poltrona con una grande voglia di scoprire se Geralt e Ciri finalmente si incontreranno dopo essersi cercati a vicenda per gran parte del tempo e in che modo Yennefer influirà sul loro rapporto.
Come abbiamo già detto nella nostra recensione preliminare della stagione, sebbene il protagonista sia Geralt di Rivia, interpretato da un Henry Cavill forse un po' troppo massiccio per il personaggio ma assolutamente nella parte, sono in realtà la Anya Chalotra di Yennefer e la Freya Allan di Ciri a rubargli la scena. Le loro storie sono molto più coinvolgenti e tragiche, specialmente quella di Yennefer che vediamo trasformarsi da una contadina deforme in una potentissima e bellissima maga. Le loro vicissitudini si intrecciano con una discreta dose di fantapolitica che qualche volta si segue con una certa fatica, a causa di dialoghi troppo lunghi e didascalici, ma che comunque contribuisce a delineare l'idea di un mondo ricco, sfaccettato e concreto. Il finale è un cliffhanger tipico di una prima stagione che è già stata rinnovata per una seconda: l'attesa terrà i nuovi fan col fiato sospeso e, chissà, magari li invoglierà a leggere i libri o a giocare i videogiochi.
Conclusioni
Alla fine di questa recensione del finale di The Witcher, non possiamo che confermare le impressioni positive maturate nel corso della visione delle prime cinque puntate: al netto di qualche imperfezione, la serie targata Netflix arriva al suo primo season finale in crescendo, nel rispetto dell'immaginario di Andrzej Sapkowski, rivolgendosi in maniera efficace a tutti gli amanti del fantasy che, orfani de Il Trono di Spade, cercano una nuova epopea cui legarsi per i prossimi anni.
Perché ci piace
- Il ritmo serrato della narrazione che intreccia lentamente le tre storyline principali.
- L'atmosfera fantasy che si respira grazie a all'ambientazione insolita.
- L'avvincente evoluzione di Yennefer.
Cosa non va
- L'assenza di suggerimenti più espliciti che può confondere gli spettatori che non hanno mai letto i romanzi.
- Qualche scelta visiva discutibile in termini di costumi e computer grafica.
- La carica umoristica qualche volta fuori luogo, specialmente quando c'è di mezzo Ranuncolo.