C'è un legame speciale, istintivo e invidiabile tra gemelli. Credenza popolare vuole poi che a tenerli uniti sia una sensibilità unica, un ponte diretto tra l'emozione dell'uno sulla pelle dell'altro. Un legame infrangibile, che nemmeno il sonno eterno potrà recidere. Ecco perché nel tempo quello dei gemelli si è sempre più elevato a tema prediletto del cinema horror; bacino di stimoli e suggerimenti narrativi verso cui affondare a piene mani per prendere in prestito, ispirarsi, e lasciarsi assimilare, tale topos narrativo diventa materiale costruttivo su cui sviluppare un'opera che si ripromette di cospargere di brividi un pubblico in balia del caldo estivo. Eppure, come sottolineeremo in questa recensione di The Twin - L'altro volto del male, il film diretto da Taneli Mustonen è una lunga salita, circondata e ammantata dagli stilemi tipici del genere, che trascina a fatica il proprio spettatore per poi lanciarlo verso un plot-twist finale che tutto sorprende e tutto ribalta, senza però investirlo di adrenalina e suspense.
The Twin - L'altro volto del male: la trama
Un incidente; a volte basta poco, un attimo di distrazione perché la tua vita cambi del tutto. Così è stato per Rachel e Anthony, che dopo un incidente stradale hanno perso il proprio figlio Nathan. Assieme al gemello di Nathan, Elliot, la coppia abbandona gli Stati Uniti per ripartire da zero nella vecchia casa di famiglia di Anthony, in Finlandia. Sembra una buona idea, sulle prime. La casa è grande e affascinante, in mezzo alla campagna. Ben presto però le cose si complicano. Rachel si sente estranea agli usi e costumi locali ed è ansiosa e protettiva nei confronti di Elliot. Quel che è peggio, però, è che Elliot comincia a comportarsi stranamente e dice alla mamma di non essere Elliot, bensì Nathan. Rachel si ritrova così in un incubo e cerca aiuto da un'anziana donna del luogo che sembra saperla lunga e le parla di demoni e di possessione.
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Paura gemellare
Troppo provato da un viaggio impegnativo e non sempre dinamico, lo spettatore di The Twin - L'altro volto del male arriva alle fasi finali di questo nuovo capitolo dei ghost-movie con il peso di un film che tanto avrebbe voluto rivoluzionare, ma che finisce di cadere nei soliti cliché, privando così il proprio pubblico di quella piena soddisfazione per un epilogo curioso e imprevedibile. Tutto parte da lì, da quell'elemento famigliare e antropologico suggerito dallo stesso titolo del film di Mustonen: "the twin", il gemello. Quello gemellare è uno spunto narrativo che si presta perfettamente al genere dell'horror, per quel senso di sdoppiamento che si trascina verso la perdita dell'altro e/o di un suo impossessamento. Giocando su quel processo implicito che vuole i personaggi sullo schermo riflessi e gemelli diversi dei propri spettatori, il tema del gemello enfatizza questo sistema speculare, per amplificare un senso di perdita e angoscia, tra personalità doppie, identiche, o sottratte. Eppure, in questo gioco di doppi e riflessi, qualcosa si perde, si sfilaccia. Per quanto il tentativo di inserire tale storia di morte e dolore, all'interno di un contenuto mistico e tradizionalmente pagano come quello delle terre glaciali della Finlandia, il risvolto finale è una riproposizione fedele e pedissequa di trame e sviluppi ampiamente testate in passato. "Non c'è niente di nuovo da dire" afferma il personaggio di Rachel circa la morte di suo figlio, e per due terzi del film si insinua nello spettatore la medesima sensazione che vuole anche The Twin incapace di aggiungere e dare qualcosa di più rispetto al passato. Il film sottosta ai crismi del genere. Segue un itinerario già intrapreso e segnato da mille altri suoi precedenti, rischiando di risultare prevedibile soprattutto agli occhi dei più appassionati. Partendo da una tragedia iniziale, la storia si insinua tra le pareti di un labirinto visivo e mentale dove tutto ciò a cui si assiste può non essere il riflesso perfetto di ciò che si mostra allo sguardo. Eppure manca quello stesso coraggio che invece si riscontra nelle battute finale, finendo per trascinare per il colletto uno spettatore incapace di sorprendersi e farsi prendere dall'angoscia più profonda.
Seguire le regole dell'horror
Riprendendo in maniera armonica le regole fondamentali del gioco dell'horror, anche le componenti più tecniche rispondono a una riproposizione di canoni del genere che permettono ai propri spettatori di interpretare, leggere e riconoscere con facilità la natura dell'opera, così da rimanere ancora più basiti e sorpresi di fronte alla rivelazione finale. Così è per la fotografia firmata da Daniel Lindholm che gioca su stilemi già collaudati, puntando su tonalità glaciali che sanno di aliti freddi provenienti da mondi ultraterreni. Al resto ci pensa un giusto equilibrio tra luci e lingue di ombra pronte a inglobare tra le proprie braccia i propri protagonisti. Dal canto suo, la macchina da presa di Mustonen immortala dalla giusta distanza tutto e tutti, senza mai intromettersi nel corso delle loro esistenze, ma limitandosi a farsi da testimone di risvolti e rivelazioni. Perlopiù immobile, così da lasciare che siano Rachel e la sua famiglia a farsi calamita attrattiva dello sguardo, la cinepresa si pone lungo una posizione di ripresa orientata dal basso verso l'alto, quasi come se provenisse, o venisse lei stessa attratta, da quella forza scaturente da una terra maledetta, ombrosa, alimentata da superstizioni e demoni ultraterreni. Già, perché tra gemelli, incidenti e perdite, la sceneggiatura dello stesso Mustonen e Aleksi Hyvärinen si avvale del misticismo tipico della Finlandia per esaltare quel senso di paura e angoscia tanto ricercato, eppure così poco riproposto. L'atmosfera delle lande scandinave è un manto attrattivo e perturbante, un abito fabbricato con toni carichi di angoscia, ma che vestono un corpo flaccido e debole. La cultura pagana che fa da sfondo ai passaggi più salienti dell'opera, la stessa che influenzava un altro incubo fattosi orrore come quello di Midsommar - Il villaggio dei dannati poteva essere più cattiva, più mordace di quanto invece si è mostrata. In questo modo avrebbe assestato un duro colpo non solo a una psicologia già di per sè fragile come quella di Rachel, ma anche allo sguardo del proprio spettatore, immergendolo senza freni al centro della paura, disorientandolo. A poco serve il concetto e la forma geometrica del cerchio che tutto confonde e tutto rimanda a una ciclicità del male senza via di uscita. La ciclicità di eventi che si ripetono senza sosta, poteva essere maggiormente sfruttata, soprattutto nella sua funzione simbolica e labirintica, ma purtroppo viene soltanto toccata e poi dimenticata, come un cerchio alla testa facilmente dimenticabile dopo un giusto momento di riposo.
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Io sono tua madre
Sebbene punto di partenza di tutta la giostra narrativa, con The Twin - L'altro volto del male il riflesso del doppio si sposta dalla figura del gemello superstite a quello della madre, sola e abbandonata nel pieno delle proprie fobie al centro della scena. Un palcoscenico circolare, quello in cui si trova la donna, dove l'incubo la colpisce direttamente nelle vesti di prima attrice di una performance dove tutto nasce filtrato dai suoi occhi e dal suo corpo rannicchiato, colpito dalle lame di mille dolori. A dare corpo e veemenza al ruolo di una madre non più (anti)eroina della storia come quella di Rose Byrne in Insidious, o Toni Collette in Hereditary - Le radici del male, ma vittima sacrificale sull'altare delle fragilità umana, è ora una Teresa Palmer pienamente a suo agio nei panni di una donna chiamata ad affrontare qualcosa più grande di lei. Come già dimostrato in precedenza nel corso della propria carriera, l'attrice comprende le regole basilari del genere, e riesce a rendere verosimile la potenza demoniaca che si insinua negli antri più oscuri della propria mente per intaccarle il corpo e i pensieri. La sorellastra di Lights Out - Terrore nel buio, o la giovane innamorata di uno zombie in Warm Bodies, lasciano adesso spazio a una madre in preda ai rimorsi, alla paura di vedersi strappare anche l'altro figlio, o di perdere lei stessa il senno della ragione. La sua è una performance giocata in sottrazione, dove le urla vengono soffocate da lacrime pesanti come macigni, e dove sono gli occhi a farsi i canali principali attraverso i quali lasciare trasparire tutta la portata angosciosa e orrorifica delle proprie esperienze. Eppure, per quanto convincente, la sua interpretazione non è sufficiente per investire il proprio spettatore di altrettanta paura. Già perché a volte non basta una bella copertina per fare un bel libro, se al suo interno tutto gioca su una pausa narrativa, e solo l'ultima parte regala quei brividi così tanto ricercati in precedenza, capitolo dopo capitolo.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di The Twin - l'altro volto del male sottolineando quanto a volte il talento dei propri interpreti, e la compattezza dell'aspetto visivo, non riescano a sopperire una ridondanza narrativa che inciampa troppe volte su cliché e topoi tipici del genere.
Perché ci piace
- La performance di Teresa Palmer
- La regia glaciale di Tanell Mustonen
- Il plot-twist finale
Cosa non va
- Il non aver sfruttato pienamente il retaggio pagano e mistico delle lande finlandesi
- Una sceneggiatura altalenante