The Second Act, recensione: l'umorismo non è roba per intelligenze artificiali

La recensione di The Second Act, film di Quentin Dupieux che ha aperto Cannes 2024: satira sul cinema ai tempi di algoritmi, intelligenza artificiale e politicamente corretto. Nel cast Léa Seydoux e Louis Garrell.

The Second Act, recensione: l'umorismo non è roba per intelligenze artificiali

Come il profumo, l'umorismo è qualcosa di molto personale. Un aroma specifico non è detto che si mescoli bene con tutti i tipi di pelle. Lo stesso vale per battute e gag: alcuni amano il demenziale, altri il black humor. C'è poi anche chi non ride mai, ma questo è un altro problema, più adatto al lettino di uno psicologo che a una discussione cinematografica. Cosa succede quindi se viene chiesto a un'intelligenza artificiale di scrivere un film divertente (non usiamo il condizionale perché non è un'ipotesi, ma una realtà concreta)? È uno degli spunti del nuovo film di Quentin Dupieux (noto anche con il soprannome di Mr. Oizo quando si occupa di musica), scelto come apertura del Festival di Cannes 2024. La nostra recensione di The Second Act parte da proprio da questa domanda: la commedia è roba per algoritmi?

The Second Act 5
Louis Garrell in The Second Act

Sempre più prolifico (ormai realizza un film all'anno), il regista francese ha un occhio irriverente sul mondo e un tipo di umorismo che segue un ritmo musicale, quasi fosse un'improvvisazione jazz. Non è un caso, vista la sua doppia vita di regista e musicista. Molti dei suoi film si basano sulla ripetizione quasi esasperata di tormentoni e battute, che potrebbe irritare chi non ama questo stile. Se invece vi piace Miles Davis probabilmente i film di Dupieux possono fare per voi.

The Second Act (il titolo originale è Le Deuxième Acte) è strutturato in modo simile: non c'è un vero inizio né una fine, nel mezzo vengono ripetute più volte le stesse battute, ma ogni volta con una variazione. La differenza con uno schema creato al computer e l'estro umano è però evidente: l'intelligenza artificiale (almeno per ora) non potrebbe riprodurre certe sfumature che il cast del film - composto dai bravissimi Vincent Lindon, Léa Seydoux e Louis Garrell - sa donare ogni volta, frutto di un vissuto reale. La confusione tra finzione e realtà è inoltre un altro tema di questa pellicola, che offre diversi spunti di riflessione pur avendo tra i produttori Netflix, piattaforma di streaming che sui prodotti realizzati seguendo algoritmi ha costruito il suo successo.

Trama senza trama

La trama di The Second Act è in realtà un canovaccio: siamo immediatamente dentro all'azione, che consiste in un piano sequenza in cui due amici, David (Garrell) e Willy (Raphaël Quenard), stanno parlando di una donna, Florence (Seydoux). Il primo non ne può più di frequentarla e vorrebbe che il secondo si facesse avanti, in modo da distrarla da lui. Lei invece sta per presentargli suo padre, Guillaume (Lindon). Scopriamo presto che in realtà questi personaggi sono degli attori nel bel mezzo delle riprese di un film.

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La situazione è straniante: i quattro recitano le battute, ma spesso si interrompono, commentandole, criticando alcune idee, domandandosi come si faccia a fare film del genere quando fuori ci sono guerre e il mondo sta bruciando. La pellicola che stanno girando è infatti una delle prime opere dirette da un'intelligenza artificiale, che comunica con gli attori tramite un pc, portato in giro da un ragazzo, su cui appare un'interfaccia umana. Questo regista particolare non si preoccupa minimamente delle osservazioni e delle ansie degli interpreti: all'A.I. interessa soltanto la percentuale di gradimento che il titolo avrà sulla piattaforma.

Viene prima il pubblico o l'algoritmo?

The Second Act
Léa Seydoux e Raphaël Quenard

Dupieux mette insieme diverse cose, cercando di tenerle in equilibrio come un acrobata: c'è sicuramente la parte meta, in cui si gira un film dentro al film, che però è quella meno originale. Contemporaneamente il regista critica il cinema stesso: gli autori hanno ancora spazio e senso di esistere? Se una macchina può sostituirli, cos'è che rende unico e speciale il loro lavoro? E qui, con un triplo salto carpiato, parla direttamente al pubblico: come i suoi protagonisti, che non riescono più a distinguere dove finisca il set e cominci la vita privata, tutti viviamo ormai in un stato strano, in cui ci sembra di essere ascoltati in continuazione (e in effetti è così: quante volte vi è capitato di nominare qualcosa, o qualcuno, e poi di ritrovarveli sui social un istante dopo?), che ci porta a sviluppare una doppia coscienza, quella intima, che nessuno vede e sente mai, ultima frontiera della privacy, e una pubblica, che deve conformarsi al trend del momento.

L'autore spara quindi a zero su temi come il politicamente corretto, che non tiene conto della vera natura delle persone: l'idea di essere sempre più inclusivi e rispettosi di ognuno è nobile e giusta, ma purtroppo le persone non sono così, rimanendo nel profondo egoiste, razziste e intolleranti anche se la tecnologia va avanti e si evolve. Ragiona poi anche sull'industria cinematografica, che si prende estremamente sul serio, ma poi dimentica molti dei suoi figli: sono davvero poche le grandi star strapagate, quando invece la maggior parte di chi lavora nel cinema ha stipendi spesso non sufficienti.

Nel finale, che forse non è all'altezza di quanto visto fino a quel momento ma è comunque coerente, Dupieux ribadisce ancora come si perda sempre un pezzo di noi stessi ogni volta che rinunciamo al fattore umano affidandoci completamente alle macchine. Siamo quindi noi a scegliere, o è l'algoritmo a farlo per noi? Ma anche: siamo noi a influenzare l'algoritmo stesso? La migliore commedia, come il migliore jazz, è quella che trascende le risate e ci collega a una dimensione connessa con la vera essenza delle cose. La risposta è dentro di noi. Ma probabilmente è sbagliata.

Conclusioni

Come scritto nella recensione di The Second Act, il film di Quentin Dupieux, scelto come apertura del Festival di Cannes 2024, è una satira meta del cinema e della società contemporanea. Pur avendo tra i produttori Netflix, l'autore spara a zero su algoritmi, intelligenze artificiali, politicamente corretto. Come un'equilibrista, cerca di tenere uniti insieme tanti punti di vista diversi, parlando direttamente al pubblico. Ottimo il cast.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
2.0/5

Perché ci piace

  • L'umorismo di Dupieux, che ricorda un'improvvisazione jazz.
  • La bravura del cast.
  • L'ambizione di voler unire tanti punti di vista diversi in un solo film.

Cosa non va

  • Se non vi piace l'umorismo di Dupieux difficilmente questo film vi farà cambiare idea.
  • Il finale, anche se coerente, è più debole rispetto a quanto visto in precedenza.