Gli stessi gesti, le stesse facce, le stesse telefonate ogni giorno; interminabili giornate trascorse tra quattro mura deprimenti, in un ambiente poco stimolante, alle prese con colleghi irritanti, bigotti, omofobi, razzisti, e un insopportabile capufficio convinto di essere simpaticissimo, in realtà ignorante, stupido ed egocentrico. Come rendere l'incubo di milioni di impiegati in tutto il mondo qualcosa di istericamente divertente? Sembra impensabile, ma l'impresa è riuscita non una ma due volte: perché The Office è stato prima di tutto, dal 2001, uno show della BBC creato e interpretato dal vulcanico Ricky Gervais. Tre anni dopo arrivò su NBC il remake americano, destinato a diventare una delle commedia televisive più popolari e premiate degli ultimi anni con Gervais nel ruolo di produttore e il grande talento comico stelle e strisce Steve Carell, proveniente da Comedy Central, a vestire i panni del protagonista, l'imbarazzante direttore regionale della Dunder Mifflin Michael Scott.
La prima stagione del The Office americano è molto vicina all'originale britannico come ritmi e atmosfere, e ne ripropone intere scene e trovate. Lo spunto narrativo è ovviamente identico: siamo nella filiale di una ditta che si occupa della distribuzione di carta in odore di ridimensionamento. Una troupe è incaricata di documentare questa delicata fase della vita del piccolo microcosmo lavorativo, intervistando anche il personale. Così conosciamo Michael, il boss ottuso e volgare convinto di avere il dono dell'intrattenimento e di essere amato dai suoi impiegati, che ovviamente non lo possono vedere e lo tollerano per quieto vivere; il bel Jim Halpert (John Krasinski), la cui mente vivace è frustrata dal suo lavoro alle vendite, la graziosa e intelligente telefonista Pam Beesly (Jenna Fischer), che ha un certo feeling con Jim ma è fidanzata da anni con un aitante magazziniere, l'incontenibile, ambizioso e saccente nerd Dwight Schrute, e ancora la dolce Phyllis, il flemmatico Stanley, la rigorosa Angela, e così via fino all'ultimo arrivato Ryan, da subito riluttante vittima delle attenzioni del suo capo. Lo stile, grazie al taglio documentaristico, è molto realistico anche se capita che, assorbiti dagli eventi e dalla performance, ci si dimentichi della presenza di un cameramen sul set (almeno finché gli attori non interagiscono con esso, magari coinvolgendolo in uno degli scherzi di Jim e Pam ai danni di Dwight).
L'intera - e fulminea, sono solo sei episodi - prima stagione è come detto molto aderente al The Office inglese anche come gestione dei tempi e dello humour, che è compassato e molto british. Più tardi, gli sceneggiatori trovano la loro strada, e lo show della NBC diventa meno caustico e più chiassoso, più sopra le righe, insomma più americano. L'umanità dei personaggi, ciascuno dei quali riesce a crearsi un proprio spazio e dei propri canali, spezza la monotonia delle tediose giornate lavorative e fa sbocciare numerose e invariabilmente divertenti storyline.
Al centro di tutto c'è ovviamente Michael Scott, imbarazzante capufficio che però, nelle mani di Steve Carell, guadagna col tempo diverse dimensioni ripetto al David Brent di Gervais. Pur continuando a suscitare disagio e ilarità, inizia ben presto a regalare momenti sorprendenti in cui sfodera una generosità e persino un'abilità inattese che gli valgono le simpatie sempiterne dello spettatore.
Ma accanto alle imprese di Michael Scott ci sono infinite dinamiche interne, tra cui è senz'altro prominente quella che coinvolge Jim e Pam, due personaggi imperfetti ma accattivanti che condividono un legame tormentato in cui è impossibile non rivedere i propri romantici struggimenti.
Altrettanto in primo piano c'è Dwight, interpretato dallo straordinario Rainn Wilson, motore comico dello show accanto a Carell: senza modificare se non di pochissimo la caratterizzazione di Dwight, Wilson è riuscito a dare vita a una inesausta teoria di gag mai ripetitive, sfruttando le alchimie con Carell e Krasinski (il suo rapporto di amore/odio con Jim è quasi fruttifero quanto il suo atteggiamento adulatorio e servile nei confronti di Michael) e una grandissima capacità d'improvvisazione.
La chimica tra Carell, Krasinski, Fischer, Wilson e gli altri membri del cast non ha fatto che crescere con le stagioni e gli sceneggiatori hanno saputo stare al passo anche grazie a un continuo ricambio e a una singolare interscambiabilità tra produttori, screenwriter e interpreti - alcuni episodi portano la firma di Carell e Gervais, mente l'attore che veste i panni di Ryan, B.J. Novak, è anche uno degli sceneggiatori/produttori.
Per questo, nonostante il format del mockumentary dopo quattro stagioni abbia iniziato a mostrare la corda, The Office è rimasto coerente e credibile, e sembra ancora avere il vento nelle proprie vele oltre a una audience ancora in ascesa.