The Mastermind, la recensione: il finto heist movie di Kelly Reichardt sul disincanto di una generazione

La regista sceglie Josh O'Connor per vestire i panni di una mente tutt'altro che criminale, sovvertendo i generi. Il risultato è un film sullo sgretolamento del sogno americano.

Josh O’Connor in una scena di The Mastermind

Un po' heist movie, un po' pellicola on the road. E, a conti fatti, nessuno dei due fino in fondo. O meglio, in The Mastermind, il nuovo lavoro scritto, diretto e montato da Kelly Reichardt dal 30 ottobre in sala distribuito da MUBI, ci sono entrambi questi generi, ma sono destrutturati per raccontare altro.

The Mastermind e l'arte del depistaggio di Kelly Reichardt

The Mastermind Foto
Josh O'Connor in The Mastermind

Presentato in concorso a Cannes 78, il film vede Josh O'Connor vestire i panni della mente (tutt'altro che) criminale del titolo. J.B. Mooney, un distratto padre di famiglia della periferia del Massachusetts del 1970 circa. Figlio di un giudice locale, sposato con Terri (Alana Haim, poco sfruttata), con una laurea in tasca e nessun lavoro. Ogni tanto ruba dei piccoli oggetti dal museo d'arte della città, fino a quando non decide di mettere in atto una rapina con un piano a suo dire infallibile. Ovviamente il corso degli eventi gli dimostrerà che non è così.

Fin dai primissimi minuti del film, accompagnati dal free jazz della colonna sonora composta da Rob Mazurek che attraversa l'intera pellicola, Kelly Reichardt mette in scena un racconto che ha tutta l'aria di concentrarsi attorno al furto di una serie di quadri di Arthur Dove. Una sorta di depistaggio che si svela velocemente per quello che è veramente. Alla regista non interessa affatto la rapina in se per sé, ma tutto ciò che ne consegue a livello materiale, psicologico e sociale.

The Mastermind Immagine
Alana Haim in una scena del film

The Mastermind diventa così l'analisi delle scelte sciagurate di Mooney, un anti-eroe inconcludente e goffo che non ne azzecca una e si ritrova a vivere da latitante in giro per gli Stati Uniti. O'Connor lo ritrae evidenziando con corpo ed espressioni del volto tutto il malessere e la disillusione che lo attraversano. Un uomo che ha scelto il torpore esistenziale isolandosi da un mondo in preda a grandi cambiamenti.

Lo sgretolamento del sogno americano

The Mastermind Scena
Un'immagine di The Mastermind

Illuminato dalla fotografia sognante di Christopher Blauvelt, dai ritmi (qui fin troppo) dilatati del cinema di Reichardt e giocato sulle sfumature cromatiche dell'autunno del New England, The Mastermind è il ritratto intrecciato di un uomo e di un Paese alla sbando. La latitanza di Mooney è il pretesto utilizzato dalla regista per mostrarci sia la sua chiusura e impermeabilità verso ciò che lo circonda a cui è del tutto alieno, sia la crepa di disincanto che attraversa gli Stati Uniti alle prese con le contestazioni al governo Nixon e al coinvolgimento del Paese alla guerra in Vietnam.

Ed è proprio sul finale che _The Mastermind_cala la sua maschera e si mostra per quello che veramente è, ricollegandosi ad altre pellicole precedenti della filmografia della regista. Una disamina dell'inizio dello sgretolamento del sogno americano vista attraverso gli occhi di un uomo estraneo alle prese con le conseguenze delle sue azioni. Attraversato da una vena di malinconica ironia, il film dialoga anche con il nostro presente. La perdita della fiducia di un intero popolo nei confronti di chi è chiamato a governarlo. Un risveglio brusco con il quale facciamo ancora i conti.

Conclusioni

Un antieroe sbadato e fallimentare con il volto di Josh O' Connor è il primo tassello del puzzle costruito da Kelly Reichardt per The Mastermind. Un film che contiene molti dei temi cari al cinema della regista, ma qui travestiti da heist movie prima e pellicola on the road poi. Il protagonista e la sua goffa rapina sono il pretesto per raccontare altro: il disincanto di un'intera generazione alle prese con l'amministrazione Nixon e la guerra in Vietnam. Un ritratto ironico e malinconico di un uomo e una nazione in crisi che finisce per avere echi nel nostro presente. Estremamente curato sotto il profilo formale, il film rischia di perdersi nelle pieghe di un ritmo troppo dilatato e nel poco approfondimento dedicato a personaggi secondari.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
N/D

Perché ci piace

  • L'uso dei generi
  • La fotografia di Christopher Blauvelt
  • L'interpretazione di Josh O'Connor
  • La seconda parte del film che si apre al contesto sociale e politico degli anni '70

Cosa non va

  • Il ritmo troppo dilatato
  • Il posto spazio concesso al personaggio di Alana Haim