It was you breathless and torn/ I could feel my eyes turning into dust/ And two strangers turning into dust
È un sorriso a dipingersi sul volto paralizzato di June Osborne, trasportata da un manipolo di ancelle all'interno del bosco, nella scena con cui si chiude la terza stagione di The Handmaid's Tale. Mentre la macchina da presa si sofferma sul primo piano di Elisabeth Moss, abbattuta da un colpo d'arma da fuoco ma soddisfatta di aver portato a compimento il proprio piano, ad accompagnare l'epilogo è la voce dolcissima ed ipnotica di Hope Sandoval, che scorre sull'avvolgente melodia di una delle canzoni più famose dei Mazzy Star, Into Dust. È dalla potente immagine finale di Mayday che abbiamo scelto di partire per la nostra recensione di The Handmaid's Tale 3x13, episodio firmato dal creatore della serie di Hulu, Bruce Miller.
Fin dal suo debutto, nella primavera del 2017, The Handmaid's Tale si è rivelato una delle serie più importanti del decennio che ormai volge al termine: partendo dal capolavoro letterario di Margaret Atwood del 1985, Il racconto dell'ancella (di cui è in arrivo fra pochi giorni in libreria il sequel, I testamenti), Miller e i suoi co-autori hanno ampliato progressivamente l'universo di questa inquietante distopia, a costo di dilatare, in molti casi, il ritmo narrativo delle singole puntate, ma restando comunque fedeli allo spirito originale della serie.
La grande fuga
Ed è sempre lei, June Osborne, il cuore pulsante della serie. Elisabeth Moss ha disegnato un personaggio che, da una stagione all'altra, ha acquisito una ferrea determinazione e una forza incrollabile, a dispetto di tutte le difficoltà e le umiliazioni che si sono materializzate sul suo cammino. Un personaggio che si è fatto scudo della propria resilienza, ha imparato a conoscere il nemico e soprattutto come combatterlo, anche a costo di sporcarsi le mani di sangue: ne abbiamo avuto più di un esempio, inclusa l'uccisione del comandante George Winslow nell'episodio 3x11, Liars. In Mayday June, con la complicità del comandante Joseph Lawrence (Bradley Whitford), è pronta a mettere in atto il proprio piano: raggiungere con altre ancelle, insieme ad un gruppo di bambini, l'aeroporto che li condurrà in salvo in territorio canadese.
Le dinamiche della fuga, gli imprevisti e la decisione di June di creare un diversivo sono gli elementi che, nella seconda parte di Mayday, trasformano l'episodio in un thriller notturno ad alta tensione; stavolta però June non è la preda impaurita e braccata dai soldati, come accaduto in passato, ma la donna che dirige la partita, che getta il fumo negli occhi dei propri avversari e che non esita a premere il grilletto, se questo significa guadagnarsi una chance di sopravvivere. O che, all'occorrenza, sceglie lei stessa di diventare la preda, il bersaglio delle pallottole, pur di allontanare l'attenzione delle guardie dai piccoli fuggiaschi in procinto di sottrarsi al controllo di Gilead.
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June, la guerriera in rosso
L'intera credibilità della serie, nonché il senso di The Handmaid's Tale, si reggono in fondo sulle spalle di June, sulla sua evoluzione e sulle ragioni alla radice dei suoi comportamenti; ed è una fortuna che, a sostenere un tale peso, ci sia un'attrice del calibro di Elisabeth Moss, capace di sfruttare al massimo gli sguardi e i movimenti del volto per far emergere le sfumature della sua eroina vestita di rosso, senza mai ridurla a un semplice stereotipo. Non a caso una delle scene più significative dell'episodio consiste in un dialogo fra June e Rebecca, una dei bambini raccolti per la fuga: "Non dovrai essere una moglie o una madre, se non vorrai", dichiara la donna, prefigurando a Rebecca la sua imminente libertà. "E allora che cosa sarò?"; "Tu", è la risposta cristallina di June.
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Conclusioni
Dramma, suspense e un epilogo in cui si mescolano trionfo e amarezza: come rilevato nella nostra recensione di The Handmaid’s Tale 3x13, l’episodio Mayday regala una degna conclusione a una stagione senz'altro notevole, ma non sempre all’altezza dei livelli di eccellenza a cui la serie ci aveva abituati al suo debutto. L’intensità della prova di Elisabeth Moss, la sapiente regia di Mike Barker e l’impatto delle ultime scene rendono Mayday un season finale più che soddisfacente, in attesa delle prossime imprese di June.
Perché ci piace
- Il giusto equilibrio fra il dramma e la tensione, che esplode nella sequenza della guerriglia nel bosco.
- La solida chiusura del percorso aperto all’inizio della stagione, dall’evoluzione di June alla definitiva ‘caduta’ dei coniugi Waterford.
- La magnifica scena finale, con il primo piano di Elisabeth Moss e la melodia di Into Dust dei Mazzy Star.
Cosa non va
- I passaggi ripetitivi e i rallentamenti del ritmo narrativo che hanno caratterizzato buona parte di questa stagione.