The Good Wife si è contraddistinto come uno dei più realistici, veritieri, cinici spaccati di realtà contemporanea visto in TV negli ultimi anni. In questa recensione di The Good Fight 4, dal 18 febbraio su TIMVision con un episodio a settimana, cercheremo di spiegarvi come lo spin-off nella quarta stagione sembri avvicinarsi più di prima a quella coesione narrativa tanto apprezzata nella serie originale. Grazie anche ad alcune new entry sorprendenti come Hugh Dancy e John Larroquette.
I FOUGHT THE LAW AND THE LAW WON
Così cantavano i The Clash e ci sembra indicativo per The Good Fight 4. Questo perché, attraverso una serie di espedienti narrativi, la stagione riflette sulla corruzione della politica e della società, ma soprattutto del sistema legale americano, avvicinandosi a ciò che The Resident ha fatto per quello sanitario. Paladina di questa "indagine" non poteva che essere Diane (una sempre superba Christine Baranski), che ritroviamo prima in una realtà alternativa e poi a combattere coi "mulini a vento legali" - proprio come faceva il donchisciottesco Jeff Daniels in The Newsroom. Parlare di soldi, potere, status sociale è un modo dei creatori Robert e Michelle King per accantonare momentaneamente (ma nemmeno troppo) la politica in favore di questioni più universali che non riguardano solo gli Stati Uniti. Tutti i personaggi dovranno affrontare dilemmi etici in questi nuovi sette episodi, a partire da Diane a cui vengono affidati i casi pro bono dal nuovo capo dell'ufficio (un istrionico John Larroquette); Lucca, che si ritrova a difendere e poi a diventare amica di Bianca, una donna di colore estremamente ricca; e Julius, ora diventato giudice e che, al contrario della Lola Carmichael di All Rise, sembra voler difendere con le unghie e con i denti la propria nuova posizione.
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CHE COS'È IL MEMO 618?
Questa è stata la domanda ricorrente legata alla stagione fin dai poster promozionali e dalle prime dichiarazioni dei coniugi King prima ancora che andasse in onda. È anche la domanda ricorrente che si fanno Diane e gli altri personaggi nel corso degli episodi per svelare una possibile cospirazione del sistema legale americano, che diviene in realtà metafora del divario sociale, del denaro che vuol dire potere, dell'influenza politica, di chi "gioca a scacchi" con le vite delle persone solo perché è al comando, di abuso di potere, tutti temi quanto mai attuali nel difficile periodo che stiamo vivendo.
Un periodo non rappresentato in questo caso nella narrazione di finzione dello show, per questioni di tempistiche e soprattutto perché questa stagione voleva parlare di altro. The Good Fight, nel bene e nel male, ha cambiato più volte pelle nel corso degli anni e, rispetto alla serie madre, non è riuscita a costruire e mantenere una propria identità ma piuttosto a passare da un genere all'altro senza soluzione di continuità. Ha dovuto anche affrontare vari abbandoni del cast più o meno importanti e dovrà farlo ancora una volta la prossima stagione, già ordinata. Ecco perché questo quarto ciclo di episodi va lodato: per la comunanza di temi che si sviscerano attraverso i vari personaggi, per come gioca in pochi episodi con la meta-narrazione come nello splendido "The Gang is Satirized and Doesn't Like It" o nel finale con l'omaggio a Quarto Potere, per le guest star impeccabili fatte tornare dalle stagioni precedenti e dall'universo di The Good Wife come Michael J. Fox. "Il denaro definisce le persone" dice Lucca a Bianca ad un certo punto, e una verità più cruda non potrebbe essere meglio spiattellata in faccia alla neo-amica. Ci piacerebbe pensare di non giudicare o più che altro di non farci un'idea di una persona in base al suo status sociale, di essere superiori, ma purtroppo spesso non è così.
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IL DILEMMA DELL'AVVOCATO
Sempre Lucca ad un certo punto spiega a Bianca il cosiddetto "dilemma dell'avvocato": "lavoro, famiglia, salute, amici, sonno: puoi sceglierne tre". Non puoi averne di più, questo sembra essere il destino per le persone di successo: se non è questo un ottimo riassunto delle tematiche della stagione! L'altra new entry da segnalare nelle nuove puntate è Hugh Dancy, che smessi i panni psicologici di Will Graham in Hannibal e quelli di Cal Roberts in The Path, dopo una comparsata dalla moglie Claire Danes negli ultimi episodi di Homeland, arriva in The Good Fight nei panni di un avvocato mandato dai "piani alti" ad ambientarsi tra gli associati di Reddick, Boseman e Lockart. Lo farà in modo sorprendente e con un personaggio positivo e diverso dai precedenti e da ciò che ci si potesse aspettare da lui. A causa della pandemia, sono stati prodotti solamente sette episodi su dieci della stagione e quindi molte storie rimangono incompiute, ma per fortuna, come dicevamo, è stato già ordinato un quinto ciclo. Non per rispondere alle domande rimaste inevase, probabilmente, com'è d'uso del resto nell'universo dei King specchio della realtà contemporanea. Piuttosto per vedere se e come The Good Fight cambierà ulteriormente pelle, se riuscirà a mantenersi nonostante i sempre più frequenti abbandoni del cast e se lo farà in meglio o in peggio.
Conclusioni
Chiudiamo questa recensione di The Good Fight 4 felici che la serie, sempre di ottima fattura, abbia raggiunto una certa stabilità e coesione narrativa, unendo i puntini dei vari personaggi attraverso un tema comune, in questo caso denaro e potere, scardinandoli con un mistero di fondo, quello del Memo 618, che funge da cartina di tornasole per denunciare le falle del sistema legale statunitense. Apprezzatissime le new entry istrioniche John Larroquette e Hugh Dancy nei panni rispettivi del “capo” e di un nuovo avvocato dello studio.
Perché ci piace
- Scrittura, regia e messa in scena sono sempre di alto livello.
- Le new entry John Larroquette e Hugh Dancy sono spettacolari, e fra i volti storici a splendere è come sempre Christine Baranski con la sua Diane.
- Finalmente la serie presenta una stagione con una profonda unità e coesione narrativa, merito anche del mistero legato al Memo 618…
Cosa non va
- …anche se vira pericolosamente nel finale nella fantapolitica, troppo legata alla realtà per risultare credibile allo spettatore.
- Peccato non vedremo mai gli ultimi tre episodi non prodotti a causa della pandemia e quindi non sapremo come i King avrebbero voluto davvero chiudere la stagione.