Che cosa prova un morto vivente? Nessuno se lo è mai chiesto? Qualche tempo fa ci ha provato, in forma ironica, Warm Bodies a suggerire che i tempi cambiano e anche i morti viventi non sono quegli esseri in decomposizione che si trascinano qua e là privi di impulsi cerebrali. Alcuni zombie, più legati al ricordo della passata umanità rispetto ad altri, conservano qualche barlume di intelletto che li spinge a porsi domande sul proprio essere. Con The Girl with All the Gifts il regista inglese Colm McCarthy fa un ulteriore passo avanti.
Usando come base di partenza il romanzo di Mike Carey La ragazza che sapeva troppo, il cineasta prova a immaginare un'Inghilterra distopica, devastata da un misterioso morbo che trasforma gli esseri umani in bestie carnivore e rabbiose, in cui un gruppo di bambini - la seconda generazione dei contagiati - sia in parte immune alla malattia. I bambini in questione si nutrono di carne umana o animale come i veri zombie, ma sono dotati di volontà, di sentimenti, parlano e pensano come gli umani. A studiare questa loro peculiare condizione è la scienziata Caroline Caldwell, impegnata a sintetizzare un antidoto in grado di salvare l'umanità dalla catastrofe. A fianco di una suggestiva ipotesi evolutiva che, una volta raggiunta la massa critica, vede gli zombie annidarsi in enormi piante i cui semi hanno il compito di diffondere l'agente patogeno, focus del film di McCarthy è la giovanissima Melanie, bambina zombie interpretata dalla rivelazione Sennia Nanua. Intelligente e brutale, Melanie ha sviluppato un legame morboso con una delle sue insegnati, Helen Justiniau (Gemma Arterton), ed è dalla sua ossessione che si sviluppa un road movie avvincente e agghiacciante.
Uno zombie movie al femminile
Occuparsi di zombie in un'epoca in cui questa figura metaforica è così gettonata è quantomeno rischioso, ma la complicità tra l'autore e sceneggiatore Mike Carey e il regista Colm McCarthy trasforma The Girl with All the Gifts in un'opera che, alla luce dei recenti fatti di cronaca, risulta ancor più attuale di quanto si vorrebbe. Se nei film di George A. Romero gli zombie rappresentano la massa indistinta di individui manipolata dai poteri forti e sotterranei, vedere le orde di morti viventi che si ammassano alle reti della base militare in cui sono rifugiati i pochi umani superstiti riporta alla mente l'immagine dei migranti che tentano di superare gli sbarramenti per entrare in Europa in cerca di migliori condizioni di vita. L'Inghilterra post Brexit diviene così una distesa di campi abbandonati, di edifici marci e fatiscenti, un paese di fantasmi in cui i contagiati se ne stanno in piedi, catatonici, gli uni vicini agli altri, in attesa che l'odore di un essere vivente di qualsivoglia specie colpisca le loro narici.
Ma The Girl with All the Gifts è anche un film profondamente femminile. L'unico personaggio maschile degno di nota, nel film, è quello di Paddy Considine che interpreta un soldato proveniente da un corpo volontario. Un uomo che, prima dell'esplosione del contagio, non avrebbe fatto male a una mosca e ora si ritrova a imbracciare un fucile per sopravvivere nel ricordo di ciò che ha perso. Per il resto a dominare la pellicola è l'inquietante Melanie, zombie dall'eccezionale arte manipolatoria che lega a sé per motivi opposti l'empatica Helen, la quale si illude di poter intrecciare con lei un vero rapporto di affetto, e la biologa Caldwell, che ha bisogno della ragazzina per produrre l'antidoto al morbo. A fianco dell'eccezionale Sennia Nanua, Glenn Close sfrutta il suo carisma naturale navigando a vista nei panni della biologa ossessionata dalla sua missione, mentre Gemma Arterton, imbacuccata in maglioni e pantaloni militari, si concentra sull'umanità e sulla sensibilità del suo personaggio.
La forza del realismo
Il fascino degli zombie sta nella ferocia con cui vengono dipinte le gesta dei morti viventi. Da questo punto di vista The Girl with All the Gifts non delude affatto, dipingendo zombie affamati e rabbiosi, apparentemente quieti, ma pronti a scatti fulminei alla prima avvisaglia di cibo. Le scene in cui gli zombie si scatenano, in particolare il primo incontro con i bambini a scuola e l'assalto alla base militare, sono visivamente suggestivi. Colm McCarty preme sul pedale dell'horror costruendo scene di inaudita ferocia e assalti molto realistici. Gli eccessi gore vengono accantonati, preferendo centellinare i dettagli raccapriccianti che così risultano ancor più d'effetto. Il look visivo del film è molto naturale, caratterizzato da una fotografia plumbea, che sfrutta i colori tipici della campagna inglese.
A una prima parte in interni, nella base militare, segue la fase road movie che conduce i personaggi fino a Londra. È proprio la prima parte del film quella che risulta visivamente e narrativamente più inquietante, mostrando i bambini zombie recarsi a lezione con mani e testa bloccati dalle cinghie di una sedia a rotelle. Il tutto per impedire attacchi improvvisi a insegnanti e soldati. La tuta arancione che i piccoli indossano rievoca tristemente la tenuta dei detenuti di Guantanamo, un'ulteriore riferimento a un'attualità che si impone tristemente come chiave di lettura del film. Nello script le buone idee non mancano e qualche trovata originale, come il gel che nasconde l'odore della pelle umana, arricchisce il tutto, anche se nella seconda parte il film perde la spinta propulsiva iniziale appoggiandosi ai canoni del genere. Qualche incongruenza nel plot lascia alcune questioni logiche irrisolte. Nel complesso, però, con The Girl with All the Gifts Colm McCarthy dimostra di essere in grado di gestire una pellicola complessa e imponendosi come autore da tenere d'occhio non solo sul piccolo schermo.
Movieplayer.it
3.0/5