Un giorno forse saremo invitati anche noi, in fondo questa è New York
Ci sono periodi storici che esercitano un fascino estremamente particolare sul pubblico una volta riportati in vita sul grande schermo, sono i periodi delle grandi rivoluzioni, dei grandi cambiamenti che hanno permesso alla società, alla cultura, alla scienza e all'arte di fare indispensabili balzi in avanti. È proprio la parola cambiamento la prima a venirci in mente se parliamo della New York della seconda metà dell'Ottocento, un momento di incredibile fermento in cui il nuovo arriva per farsi spazio e sostituire il vecchio: insieme all'elettricità che viene domata ed usata per illuminare strade ed edifici, nuove famiglie si fanno spazio, scalando in fretta la piramide sociale e trovando posto tra le fila di quelli che "contano" e le nuove generazioni prendono il posto di quelle vecchie. Come vedremo in questa recensione di The Gilded Age, il "Downton Abbey all'americana" di Julian Fellowes (disponibile qui da noi su Sky Serie e Now) parte proprio da questo spunto, raccontare lo scontro tra vecchio e nuovo: in quella cornice storica e sociale che abbiamo amato in film come L'età dell'innocenza, veniamo trasportati in una New York che sta cambiando, in cui lo scontro più acceso ha luogo tra le famiglie nuove, i grandi imprenditori - come i Rockefeller, i Vanderbilt, o i fittizi Russell, al centro di questa storia - che si sono arricchiti e che non vedono l'ora di spendere i propri soldi, e quelle vecchie, che affondano le proprie radici nel passato, eredi di quei primi padri pellegrini sbarcati sulla Mayflower, e che non vedono di buon occhio i nuovi arrivati.
The Gilded Age, venendo dopo così tante stagioni di Downton Abbey, ha forse perso un po' dell'originalità ed unicità che la serie di Fellowes inizialmente portava, ma resta un prodotto estremamente divertente e coinvolgente, capace di colpire tanto lo spettatore più avvezzo a questo tipo di storie in costume che un pubblico più generico (come appunto accadeva con Downton).
Famiglie allo scontro
La storia si apre - ed è per gran parte ambientata - tra la Sessantunesima Strada e 5th Avenue: da una parte abbiamo il nuovo palazzo della famiglia Russell, arricchitasi grazie alle imprese imprenditoriali del patriarca George (Morgan Spector), dall'altra quello delle van Rhijn, due sorelle, Agnes (Christine Baranski) e Ada (Cynthia Nixon), eredi di una fortuna e membri della "vecchia" New York. I primi, in particolare Bertha Russell (Carrie Coon), vorrebbero guadagnarsi un posto in società, quella che conta davvero, ingraziandosi famiglie come appunto i van Rhijn, che però sono decisamente contrarie. La vita delle due sorelle è però già sull'orlo del cambiamento: l'arrivo in famiglia di Marian Brook (Louisa Jacobson), la giovane nipote cresciuta in campagna a cui è appena morto il padre, le costringerà ad aprirsi a diverse novità. Novità rappresentate anche dall'ingresso in scena di Peggy Scott (Denée Benton), ragazza di colore molto colta, che ha aiutato Marian in un momento di difficoltà e che verrà assunta come segretaria dalla rigidissima Agnes.
Nella cornice di una New York sfarzosissima (i meravigliosi costumi di Kasia Walicka-Maimone sono tra gli elementi che in assoluto spiccano di più e restano più impressi), persone diversissime tra loro - i figli dei Russel, Gladys (Taissa Farmiga) e Larry (Harry Richardson), l'erede di Agnes, Oscar (Blake Ritson) e l'avvocato Tom Raikes (Thomas Cocquerel), che prova qualcosa per Marion, ma anche i domestici che, dietro le quinte mandano avanti le enormi magioni - si incontrano e si scontrano, nel tentativo di affermarsi o di mantenere l'ordine prestabilito. È chiaro fin da subito, però, che la rivoluzione non può essere fermata, e che i veri protagonisti di questa storia sono in fondo i membri delle nuove generazioni, sulle cui spalle poggia un futuro in cui "vecchio" e "nuovo" convivono.
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The Gilded Age e Downton Abbey
The Gilded Age si sviluppa nel solco stabilito da Downton Abbey, cerca infatti di raccontare tanto la vita delle classi alte come quella di quelle più basse, spostandosi nel mondo della servitù e mettendone in scena le dinamiche. A differenza però della prima serie di Fellows, questa fallisce nel dare un vero spessore al mondo dei domestici, incentrando gran parte dell'intreccio su ciò che accade ai loro datori di lavoro. Il tentativo di creare delle storyline interessanti che li abbiano come protagonisti c'è, ma non si riesce a renderle veramente complete e soprattutto coinvolgenti.
Parlando poi di quel che accade ai veri protagonisti di questa storia, ossia i ricchi, i Russell e le van Rhijn (attraverso le quali conosciamo diverse famiglie di loro pari), sarebbe stato forse necessario approfondire di più la natura dell'atavica repulsione che impedisce alla vecchia New York di accettare e dare spazio a quella nuova: durante la visione restiamo ancorati ad una vaga "paura di essere spodestati dalla propria posizione", ma per rendere la narrazione più efficace sarebbe stato utile ed interessante soffermarsi di più sul perché di questo astio, affinché lo scontro tra le due realtà sembrasse fondato su basi più solide e meno aleatorie.
Una seconda stagione in arrivo
Il valore produttivo alle spalle di The Gilded Age è indubbio, location e costumi sono davvero qualcosa di impressionante, e lascia davvero senza fiato l'enorme cura data ai dettagli e alle ricostruzioni. La trama non è forse così solida ed articolata come ci saremmo inizialmente aspettati dal papà di Downton Abbey, ma di fronte alla maestosità del mondo che viene ricreato e portato sullo schermo, e sopratutto grazie al carisma di alcuni degli interpreti (Carrie Coon e Christine Baransk in primis) non si può che venire fin da subito trascinati nella serie prodotta da HBO. La seconda stagione è già stata confermata e noi non vediamo l'ora - a prescindere dai difetti di cui vi abbiamo parlato in questa recensione - di fare ritorno nella New York dei Russell e dei van Rhijn, per scoprire come si evolveranno i loro rapporti e che strade prenderanno le loro vite.
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Conclusioni
Concludiamo la recensione di The Gilded Age sottolineando come la serie di Julian Fellowes sia un interessante rappresentazione del fermento sociale e culturale della New York di fine Ottocento. Splendide le location e i costumi, anche se la trama manca della sostanza a cui il papà di Downton Abbey ci aveva abituato.
Perché ci piace
- Lo spunto alla base della storia: lo scontro tra vecchio e nuovo.
- Le splendide location ed i costumi.
- I personaggi carismatici, in particolare quelli interpretati da Carrie Coon e Christine Baransk.
Cosa non va
- La trama manca un po' di spessore e certi temi meritavano un diverso approfondimento.
- Le storyline legate ai domestici non sono curate e per questo non risultano coinvolgenti.