Nella notte del 12 dicembre si è tenuta un'edizione dei The Game Awards piuttosto speciale, almeno per la ricorrenza, visto che ha segnato il decennale di un premio che sta acquisendo sempre più importanza per il mondo dell'audiovisivo. Ce lo testimonia il fatto che ormai tra i premi più ambiti c'è quello per il miglior adattamento, una categoria introdotta solo nel 2022, quando a vincere fu Arcane.
I due linguaggi ormai si parlano con sempre maggior successo, non solo per la presenza di autori di videogiochi che hanno votato la loro carriera (o la parte più consistente) a lavorare cercando una commistione ideale, come possono essere Hideo Kojima e Neil Druckmann (per citare solo due tra i più famosi), ma anche perché dall'altra parte si è trovata, pare, la maniera di rileggerli e assorbirli secondo dei codici diversi, ma funzionali al mezzo. Codici diversi come erano diversi i due contendenti che hanno resto l'ultima edizione piuttosto speciale: Arcane, per il bis, e Fallout.
Lo diciamo subito, la vittoria della serie Bethesda non è solamente meritata, ma mostra anche come ormai sia piuttosto chiara la strada da percorrere quando si parla di traduzione su schermo e quindi non è più lecito abbassare le aspettative o tornare indietro, motivi per cui si avverte anche come oltre ad un grande vincitore emerga anche uno sconfitto che ha deciso, in parte, di autosabotarsi.
Videogiochi e cinema non sono mai stati così vicini
"Videogiochi e cinema non sono mai stati così vicini" è una frase piuttosto impegnativa, visto che il sogno di portare un adattamento videoludico degno di questo nome su schermo inizia addirittura negli anni '90. Epoca in cui hanno visto la luce Super Mario Bros., Street Fighter e Mortal Kombat di Paul W. S. Anderson, che ha poi creato la saga di Resident Evil con Milla Jovovich. Dopotutto il pubblico, seppur prevalentemente verticale, ha sempre risposto, anche davanti a titoli più recenti come Max Payne, Prince of Persia, i vari Tomb Raider, i film d'animazione ispirati a Ratchet & Clank e al mondo dei Pokémon, ma anche i recentissimi Sonic e Super Mario Bros. - Il film.
Una lista lunga (ci scusiamo per qualche pezzo perso per strada, altri invece li abbiamo omessi volutamente) che, tra qualche successo e, soprattutto qualche flop, dimostrava generalmente come era la formula linguistica a mancare, anche per le difficoltà dovute ad un materiale di partenza era fin troppo variegato e che quindi non permetteva una soluzione rigida. Si doveva pensare a qualcosa di più liquido e soprattutto equilibrato, in grado di andare incontro alle caratteristiche specifiche di ciò che veniva adattato rispetto quelle di ciò che adattava. In più, cosa mai scontata, era fondamentale intercettare un pubblico il più possibile orizzontale e, per farlo, l'adattamento doveva avere un peso politico e contemporaneo. Doveva raccontare qualcosa sulla società, non essere semplicemente un'operazione per afecionados.
Si è quindi passati alla formula seriale, ci si è focalizzati su come si poteva in primis lavorare sull'immaginario videoludico e poi si è cercato il canale per decostruirlo e poi rimontarlo secondo i limiti e le libertà di un linguaggio prettamente audiovisivo, non solo per la grammatica narrativa, ma anche per la messa in scena. Arcane è stato un esempio straordinario, seppur particolare, perché la serie Riot nasce come un prequel di League of Legends, che non è un gioco molto cinematografico da nessun punto di vista, ed in più è un titolo d'animazione. Fallout ha poi alzato notevolmente l'asticella, anche più del celebratissimo The Last of Us.
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Dove ha vinto Fallout e dove ha perso Arcane
Arcane è stato impeccabile nell'intercettare una storia all'interno di un mondo aperto a possibili incursioni e lo ha fatto creando un qualcosa di universale e puntuale sia per quanto riguarda il genere più auge nella realtà blockbuster, i cinecomics, sia perché si è allineato ad un conflitto tra classi sociali tornato alla ribalta in più di una parte del mondo. Nella serie Riot c'è infatti una tra le origin story di un villain più belle mai concepite e un conflitto revanscista su larga scala. Il tutto lavorando sull'animazione come poche altre volte, cercando di sfruttarne ogni potenzialità.
Eppure, nonostante la quasi perfezione della prima stagione, la seconda si è ritrovata a cedere il passo a Fallout, che, oltre ai suoi diversi meriti è anche riuscita a lavorare con tutti i limiti del live action. La seconda parte di Arcane ha commesso il peccato universale di venire meno proprio nell'equilibrio e, nonostante la cura formale ineccepibile e probabilmente anche superiore al passato, ha sacrificato la potenza della sua narrazione, andando veloce, accorpando, cercando di chiudere. Forse per motivi commerciali spiegabili con le nuove uscite già annunciate. Comunque, le necessità di un linguaggio hanno schiacciato quelle dell'altro.
Esattamente quello che non ha fatto Fallout, la quale non solo ha trovato una messa in scena credibile e derivativa esattamente nella misura in cui lo era quella del materiale originale, ma ha elaborato una trama attualissima (l'apocalisse come nuovo business core capitalistico) e perfettamente disegnata su misura di una struttura di racconto audiovisivo e, allo stesso tempo, archetipica dello spirito del videogioco stesso. Come se avesse trovato la strada maestra per andare al cuore sia dell'immaginario ludico che cinematografico, al punto da sfumarlo e riuscire a parlare ad un pubblico ancora più ampio. Più o meno come fece Arcane, che però sconta la colpa di essere tornato indietro.