Jamal Khashoggi si riteneva un riformista e un sostenitore del regime saudita per cui aveva lavorato per 30 anni. Come rivela la recensione di The Dissident, documentario del premio Oscar Bryan Fogel, Jamal Khashoggi è diventato un dissidente nel momento in cui ha scelto di non tacere di fronte alla stretta nella libertà di parola che ha coinciso con la scalata al potere da parte del principe Mohammad bin Salman, ambizioso accentratore che ha dato una sterzata alla politica saudita lanciando la sua crociata contro la corruzione e a favore dell'emancipazione femminile soffocando, al tempo stesso, le voci contro con metodi leciti e illeciti.
Lucido, dettagliato, lacerante, The Dissident, disponibile su MioCinema, ricostruisce tappa dopo tappa la caduta di Jamal Khashoggi, culminata nell'omicidio nel consolato saudita di Istanbul il 2 ottobre 2018, dove il giornalista si era recato per ritirare un documento necessario per sposarsi. In parallelo al reportage che ricostruisce la sorte toccata a Khashoggi, il film racconta la storia di Omar Abdulaziz, giovane dissidente saudita fuggito a Montreal, Canada, da dove continua a criticare l'attuale regime con post su Twitter e YouTube. La rete di dissidenti di cui Omar fa parte era sostenuta e finanziata dallo stesso Khashoggi che, poco prima della scomparsa, aveva in programma di recarsi a Montreal.
Voci libere contro la dittatura
Oltre a essere uno dei paesi più ricchi al mondo grazie alle sue riserve petrolifere, l'Arabia Saudita è una delle nazioni più informatizzate. Come indica The Dissident, mentre la proporzione degli americani che posseggono un account Twitter è di due su dieci, nel caso dell'Arabia Saudita sale a otto su dieci. I sauditi, impossibilitati a esprimere le proprie opinioni e a criticare apertamente la monarchia senza evitare ripercussioni, usano Twitter come sfogo e la stessa famiglia reale, grazie alla modernizzazione impressa da Mohammad bin Salman, si serve del social network per minare la credibilità dei suoi oppositori attraverso un esercito di troll noti come le Mosche. Sono loro, tramite centinaia di account falsi, ad aver distrutto psicologicamente Jamal Khashoggi attraverso una pioggia di insulti e menzogne prima di completare l'operazione con l'eliminazione fisica.
Jamal Khashoggi, voce più autorevole del mondo arabo approdato al Washington Post dopo l'esilio autoimposto, ha criticato la politica di Donald Trump e l'avvicinamento del regime saudita all'ex Presidente USA che, con bin Salman, ha fatto affari d'oro prima e dopo la morte del giornalista vendendo circa 80 miliardi in armi al regime di Riad. L'integrità professionale di Jamal Khashoggi gli ha impedito di tacere. Lo scrittore ha preso la decisione dolorosa di lasciare moglie e figli per continuare a svolgere il suo mestiere in libertà altrove, l'amore per il suo paese lo ha spinto a continuare a sperare in una svolta più dignitosa dando il suo contributo attivo nella lotta. Purtroppo la battaglia per la libertà del giornalista si è conclusa in un forno tandoori nel cortile della dimora del console saudita a Istanbul, dove le sue spoglie sarebbe state date alle fiamme per cancellare ogni traccia dell'omicidio dell'"animale sacrificale", come viene definito nella trascrizione dell'agghiacciante audio registrato nel consolato il giorno del delitto.
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Una ricostruzione lucida che non trascura il lato umano
Oltre a ricostruire le tappe dell'indagine avviata dalle autorità turche, che hanno avuto accesso al consolato solo quindici giorni dopo la scomparsa di Jamal Khashoggi, The Dissident illustra in dettaglio le moderne tecniche di guerriglia informatica usate sempre più spesso dai regimi totalitari per influenzare l'opinione pubblica interna ed estera. Nel caso di Omar Abdulaziz, dapprima blandito dai mandanti di Mohammad bin Salman con false promesse di una carriera televisiva se avesse accettato di fare ritorno in patria, poi spiato grazie al sofisticato software Pegasus, creato da un azienda israeliana e capace di infettare il telefono del dissidente, è lui stesso ad ammettere che la sua amicizia con Khashoggi potrebbe aver sancito la condanna a morte del giornalista. Condanna messa in atto nel momento in cui l'uomo ha abbassato le difese distratto da questioni sentimentali.
Il documentario dedica uno spazio speciale alla figura di Hatice Cengiz, fidanzata di Jamal Khashoggi che porta avanti la sua battaglia per avere giustizia con dignità e determinazione. Particolarmente toccante è la rievocazione del loro incontro nelle parole della Cengiz e negli scambi di messaggi in quello che, per un esule solitario, intimorito e sfiduciato, rappresenta l'ultima speranza di felicità. Uno sguardo nella vita privata del giornalista che Bryan Fogel si concede per restituirne un ritratto a tutto tondo in un potente atto d'accusa contro le spietate politiche internazionali che calpestano i diritti umani per perseguire interessi politici ed economici. Di fronte a questa visione, assumono contorni ancor più inquietanti le lodi di Matteo Renzi che di recente, a colloquio con lo stesso Mohammad bin Salman, ha parlato dell'Arabia Saudita come di "nuova culla del Rinascimento". Quale è il prezzo della dignità? È anche su questo che il (buon) cinema dovrebbe farci riflettere.
Conclusioni
La recensione di The Dissident, disponibile su MioCinema, mette in luce le potenti qualità del documentario che ricostruisce la morte del giornalista Jamal Khashoggi denunciando la politica spregiudicata e incurante dei diritti umani dell'Arabia Saudita.
Perché ci piace
- Documentario potente e appassionante ricco di materiali.
- L'aspetto umano dei personaggi non viene sacrificato neppure di fronte a una ricostruzione puntuale dei crimini del regime saudita.
- La regia è precisa, incalzante e appassionante.
Cosa non va
- Il film punta coraggiosamente il dito contro i responsabili facendo nomi e cognomi. Ovvio che qualche voce contro tra i detrattori spunterà sempre anche di fronte all'evidenza.