The Deliverance, la recensione: Lee Daniels rivisita L’esorcista per Netflix

The Deliverance - La redenzione, disponibile su Netflix, intreccia il dramma familiare e l'horror, facendo leva su un valido cast capitanato da Andra Day e Glenn Close.

Le quattro protagoniste di The Deliverance

La produzione di Lee Daniels, nato a Philadelphia, classe 1959, si può suddividere idealmente in due settori: le opere dal taglio più autoriale ed 'estremo', con spiccate tendenze al melodramma, quali Precious, il suo pluripremiato film del 2009, e il thriller The Paperboy, che nell'essere così imperfetto e slabbrato trovava più di un motivo d'interesse; e pellicole a sfondo storico come The Butler e Gli Stati Uniti contro Billie Holiday, legate alla questione razziale nella società americana e contraddistinte da un approccio ben più convenzionale. Rispetto a tali categorie, The Deliverance - La redenzione può essere considerato una sorta di mosca bianca: non solo perché si tratta, in quanto horror, della prima incursione del regista nell'ambito del cinema di genere tout court, ma anche per l'amalgama (non del tutto riuscito) fra elementi riconducibili alle due categorie succitate.

Deliverance Film
Anthony B. Jenkins in una scena

Liberamente ispirato a una vicenda di cronaca del 2011, il caso di Latoya Ammons, The Deliverance recupera infatti diversi aspetti peculiari del celebre Precious: in particolare, una cruda rappresentazione dei meccanismi disfunzionali all'interno di una famiglia afroamericana, alle prese con difficoltà finanziarie, rapporti conflittuali e un passato di rancori e di abusi i cui effetti paiono destinati a riverberarsi da una generazione all'altra. Ma in parallelo Lee Daniels e i suoi sceneggiatori, David Coggeshall ed Elijah Bynum, sembrano voler giocare sul sicuro, riallacciandosi a una tradizione hollywoodiana lunga almeno mezzo secolo: da L'esorcista di William Friedkin, ineluttabile modello di confronto per il filone delle possessioni demoniache, passando per quella formula tipica delle produzioni Blumhouse che, nell'ultimo decennio, si è ridotta a un manierismo ormai incapace di aggiungere qualcosa di nuovo all'horror contemporaneo.

Le famiglie possedute lo sono ognuna a suo modo

Deliverance Day
Andra Day ed Anthony B. Jenkins in The Deliverance

Che in effetti Lee Daniels possa essersi 'incartato' in questa dicotomia potrebbe suggerircelo il lunghissimo periodo di post-produzione di The Deliverance: un progetto acquistato da Netflix nel gennaio 2022, girato quella stessa estate a Pittsburgh (città di ambientazione della storia), ma approdato sulla piattaforma solo due anni più tardi, dopo riprese aggiuntive e un montaggio probabilmente non troppo semplice. Al regista di Precious va comunque dato atto che, per almeno la metà della sua durata, The Deliverance riesce senz'altro a smarcarsi rispetto agli innumerevoli epigoni de L'evocazione - The Conjuring: a partire dalla scelta di tenere per un bel po' in stand-by il Maligno e il suo corredo di "angeli caduti" per immergere invece gli spettatori nella turbolenta quotidianità della famiglia Jackson, che si è appena trasferita in una nuova casa nella città della Pennsylvania, nella speranza di raggiungere un'agognata stabilità finanziaria, ma soprattutto psicologica.

Deliverance Caleb Mclaughlin
Un primo piano di Caleb McLaughlin

Se, come diceva Lev Tolstoj, "le famiglie infelici lo sono ognuna a suo modo", a quella della Ebony Jackson interpretata da Andra Day (già Billie Holiday nel film del 2021) non mancano certo le peculiarità per distinguersi: la dipendenza dall'alcol, la difficoltà a controllare la rabbia, un marito impegnato come militare in Iraq e una relazione più o meno burrascosa con i tre figli, Nate, Shante e Andre. A questi problemi si aggiungono la spada di Damocle costituita da Cynthia Henry, assistente sociale con il piglio inquisitorio della rediviva Mo'Nique (che torna a farsi dirigere da Daniels a quindici anni dall'Oscar per Precious), e l'ingombrante presenza in casa Jackson di Alberta, la madre di Ebony. È la sua figura, non a caso, a rubare puntualmente la scena in tutta la prima parte del film, pure in virtù della prova d'attrice della solita, strepitosa Glenn Close: schietta, eccentrica, a tratti affascinante nella sua sfrontatezza, che si tratti di flirtare in maniera smaccata nel bel mezzo di una sessione di chemioterapia o di commentare con vena caustica le doti culinarie della figlia.

L'esorcista: il capolavoro horror sui demoni del cuore umano

Andra Day e Glenn Close in un horror a metà fra Precious e L'esorcista

Deliverance Glenn Close
Glenn Close in un'immagine di The Deliverance - La redenzione

Del resto, che la sensibilità di Lee Daniels verta irresistibilmente verso il camp (vedasi The Paperboy) non è un segreto: valga, come dichiarazione d'intenti, la sequenza in cui tre generazioni di donne della famiglia Jackson recitano a memoria le battute del momento più 'famigerato' de La valle delle bambole di Mark Robson, fra i titoli capostipiti del melodramma declinato in chiave camp. Eppure, al di là delle parrucche sgargianti e dei look trasgressivi, non proprio in linea con la rinnovata religiosità della donna, il ritratto di Alberta riserva anche note di sommesso rimorso e di genuina tenerezza, spesso in contrasto con ruvidità rabbiosa di Ebony. Non sorprende, pertanto, che gli scambi fra Andra Day e Glenn Close si attestino fra i passaggi più convincenti di The Deliverance, così come alcune dinamiche fra Ebony e i due figli adolescenti, sempre più insofferenti rispetto al malessere dominante nella loro casa; un malessere le cui radici sono, per l'appunto, ben lontane dai territori del soprannaturale.

The Deliverance La Redenzione Anthony B Jenkins E Andra Day
Un'immagine di Anthony B. Jenkins e Andra Day

È per questo, forse, che con il venir meno del dramma familiare al film non resta che indebolirsi a poco a poco, scivolando verso l'ennesima replica del canovaccio de L'esorcista, con il piccolo Andre di Anthony B. Jenkins a fare da 'veicolo' dello spirito malefico di turno, mentre la reverenda Bernice James di Aunjanue Ellis-Taylor ripropone un ruolo analogo al padre Merrin di Max von Sydow (lì si trattava di un vero e proprio esorcismo, qui della più generica 'liberazione' del titolo originale). La climax, con il canonico faccia a faccia fra Ebony e la varietà di incarnazioni assunte dal demone, ci traghetta dunque - senza troppi sussulti - in direzione di un epilogo che non si distacca in alcun modo dai cliché del filone: quanto basta, magari, per accontentare gli affezionati dell'horror alla The Conjuring, ma con il retrogusto amaro di un potenziale sfruttato solo in parte, considerando che le premesse avrebbero fatto sperare in un pizzico di originalità e di coraggio in più.

Conclusioni

Efficace e coinvolgente laddove si tratta di esplorare le dinamiche all’interno di una famiglia disfunzionale, come Lee Daniels aveva già fatto nell’apprezzato Precious, The Deliverance – La redenzione convince assai meno nella sua dimensione prettamente horror, battendo sentieri fin troppo noti e affidandosi a cliché tipici dello stile Blumhouse. A tenere in piedi il film è comunque l’apporto di un valido cast: da Andra Day ai giovanissimi interpreti dei figli della protagonista, passando per la veterana Glenn Close.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
3.4/5

Perché ci piace

  • L’interessante descrizione dei rapporti complessi e conflittuali tra i membri della famiglia Jackson, fulcro della prima metà del film.
  • L’ottimo contributo degli interpreti, fra cui spiccano Andra Day, Mo’Nique e soprattutto una Glenn Close dall’impressionante presenza scenica.

Cosa non va

  • Una certa difficoltà nell’amalgamare gli aspetti sociali e familiari della vicenda con la dimensione soprannaturale e horror.
  • Una parte finale complessivamente deludente, che si limita a riproporre i consueti cliché del filone delle possessioni demoniache.