Dopo la tragicomica action comedy Medellín, uscita su Prime Video, il regista e attore francese Franck Gastambide si è lanciato in una nuova impresa, di tutt'altra pasta, indossando le vesti di showrunner, regista e interprete (anche se non protagonista) di La Gabbia (The Cage), serie Netflix ambientata nel mondo delle MMA. Cinque episodi per seguire la parabola di ascesa e riscatto di un giovane lottatore, aspirante professionista, Taylor, interpretato da Melvin Boomer, amato in Francia per la serie Reign Supreme (sempre su Netflix) incentrata sula nascita, negli anni '80, dell'hip-hop francese.
Attraverso il percorso di Taylor, Gastambide ci immerge nel mondo delle arti marziali miste, focalizzandosi sulle sue regole spietate, ma anche familiari. Per farlo, raduna, affidando ruoli di rilievo che vanno oltre il cameo o la guest star, a vere leggende di questo sport come Jon Jones e Georges Saint-Pierre.
Sfruttando il traino e la passione del pubblico per film come Rocky, Warrior o Creed, The Cage si addentra, anche se non sempre efficacemente, in territori emotivi alla Million dollar Baby. Per questa ragione, si erige un gradino oltre le solite leve del genere e non trova mai la soluzione facile, anche quando una vittoria sembra scontata. Guadagnatosi l'attenzione giusta, va a segno anche oltre la sua sfera di competenza perché il sogno di diventare un campione di MMA è qui chiara ed evidente metafora di realizzazione personale, di raggiungimento di un obiettivo sulla carta inarrivabile.
The Cage: un solo nemico
I primi episodi di La Gabbia ingannano l'occhio superficiale. La struttura narrativa della serie si fonda sul meccanismo di un unico nemico, un po' come si è sempre fatto in Rocky. Quando nessuno crede che possa veramente diventare un professionista, neanche il suo coach Boss (Franck Gastambide), Taylor si trova per caso ad accettare la sfida di un pezzo grosso delle MMA, uno spietato e senza scrupoli Ibrahim Ibara (Bosh), venuto a fare il bullo nella sua palestra. Da lì inizia la guerra con Ibrahim, che sarà il fil rouge capace di unire i cinque episodi. Avere un solo cattivo da sconfiggere permette alla serie di schierare i suoi interlocutori dentro la dicotomia bene e male: Taylor è il bene, la speranza, il sogno di poter cambiare il proprio destino. Ibrahim è il male, superbo, pieno di sé, simboleggia l'altra faccia del successo e il lato negativo dello sport.
Una serie tutt'altro che superficiale
Parlavamo di inganno poc'anzi, poiché la divisione tra buoni e cattivi di cui si avvale in superficialità The Cage, in realtà nasconde delle dolorose e a tratti agghiaccianti sfumature che entrano in campo quando facciamo la conoscenza della madre di Taylor, da subito personaggio controverso, di difficile lettura. La serie non ha il carico emotivo né l'abilità di sfruttarlo narrativamente a pieno, ma nell'intimo familiare del protagonista e del suo rapporto conflittuale con questa madre da cui ha dipendenza emotiva e viscerale, siamo nei dintorni di quel Million Dollar Baby che ci ha distrutto il cuore e l'anima. C'è quella delusione profonda e quel dolore infinito che nasce dall'essere in qualche modo rinnegati dalle figure genitoriali. Non ricevere l'affetto che si dovrebbe dare per scontato, da chi ti ha messo al mondo, è al tempo stesso motore di forza e incurabile debolezza. Puntata dopo puntata, Taylor è continuamente messo alla prova da questo contrasto, che come un pendolo lo allontana e poi lo avvicina all'obiettivo.
Tra il giocare pulito e il giocare sporco
La gabbia mette in scena uno spaesamento negli occhi del suo protagonista che, nonostante sia "benedetto" da un susseguirsi di mentori e personaggi che credono in lui, vedi campioni di MMA come Jon Jones e Georges Saint-Pierre, non riesce, complice il contrasto, a trovare i suoi occhi della tigre, o The Eye of the Tiger come da proverbiale colonna sonora di Rocky. Quello di La Gabbia è un match di un ragazzo con se stesso nel confronto con il proprio demone interiore.
Un demone che Taylor intercetta solo quando guarda in faccia la sua vita per quella che è e si rende conto che la famiglia che ha attorno, quella scelta di una compagna e collega e di un team di supporto, è l'unica su cui può contare. A quel punto, nello scontro con Ibrahim, Taylor entra in gabbia per vincere seguendo le ragioni giuste, non più solo personali, per tracciare una linea di demarcazione tra il fair game e il giocare sporco, tra chi è lui e la sua squadra e tutto ciò che c'è di tossico in quel mondo. Insomma, Taylor un po' come Karate Kid che tenta la mossa della Gru.
Conclusioni
La gabbia - The Cage, serie Netflix in 5 episodi, creata, diretta e interpretata da Franck Gastambide racconta le dure leggi del mondo delle MMA attraverso la parabola di riscatto sociale e ricerca di se stesso di un giovane lottatore, aspirante professionista. Con il supporto e la presenza di veri lottatori di MMA a garantire veridicità alla rappresentazione, la serie riesce, seppur non in maniera memorabile, a distinguersi dentro il genere, con una storia che ricalca le epopee da Creed a Rocky con emotività da Million Dollar Baby e Warrior.
Perché ci piace
- Melvin Boomer è perfetto nel ruolo di uno spaesato ma al tempo stesso determinato protagonista
- Il mondo delle MMA è raccontato senza epica e formalismi
- È racconto di uno scontro di un ragazzo con se stesso e i suoi demoni interiori
Cosa non va
- Ricalca la solita parabola dell’outsider che realizza il sogno
- Aspira alla profondità emotiva di film del genere come Million Dollar Baby ma non ne ha veramente le capacità.