Elevazione. E poi il ritmo, la musica, il sangue e i vetri rotti, le urla e quella perfezione, tanto ossessione quanto condanna. Ci risiamo, torna The Bear, e torna quella che è - almeno secondo chi scrive - la miglior serie televisiva che valga davvero la pena di essere vista (e non date retta a chi dice che questa stagione è in calo!). Senza rivelare troppo, una terza stagione che prosegue l'evoluzione di Carmy Berzatto, di Sydney, di Richie e di tutti quelli che abitano la cucina del ristorante, appena avviato, nel cuore di Chicago. E sono poche le serie in circolazione che, effettivamente, offrono un'esperienza quasi sensoriale: The Bear, disponibile su Disney+, stimola tutti e cinque i sensi, dal gusto all'olfatto fino all'udito (sound design perfetto). Dietro la scrittura di Christoperh Storer e di Joanna Calo c'è l'architettura umana, in qualche modo riassunta nell'umore incandescente e inarrestabile del terzo episodio della terza stagione, ovvero Porte - Doors, diretto dall'italiano Duccio Fabbri (ed è il caso di dire, un altro italiano oltre ai Berzatto!).
Nessun campanilismo, anzi, ma Fabbri, che si è alternato alla regia insieme a Storer, Calo e alla stessa Ayo Edebiri - la splendida Sydney, sempre più centrale e protagonista - è riuscito a costruire un episodio che riassume l'elevazione cercata dal cast: un funerale, il lutto, e poi il lavoro. Le porte si aprono, sette giorni su sette. La cucina del The Bear è infuocata, dopo che Carmy aka Jeremy Allen White ha stilato una lista di punti non negoziabili. Al primo posto, il menù. Un menù che deve cambiare ogni sera, perché "ottenere la stella è possibile". E allora Fabbri, che abbiamo incontrato via Zoom per un'intervista esclusiva, spiega subito che la grande sfida per The Bear 3 è proprio da ritrovare all'interno del ristorante: "Ora che Carmy è uscito dal frigo, viene il bello: il ristorante è aperto, e bisogna vedere cosa rappresenterà per i personaggi".
Duccio Fabbri e una regia da urlo: la nostra intervista
Un episodio da trenta tesissimi minuti, dosati al millimetro (in fondo, "ogni secondo conta"). Solita qualità estetica, solita grande sostanza. Un episodio che eleva (di nuovo) la grandezza di The Bear. Regia, solidità, scrittura, cast (ed Ebon Moss-Bachrach è una costante rivelazione), 'sta volta anche una traccia umoristica, a tratti quasi comica. E non ci stupisce quando Duccio Fabbri racconta quale sia la sensazione nel backstage dello show FX. "L'atmosfera sul set di The Bear è come quella di una famiglia, una famiglia amorevole dove si va d'accordo quando si ritrovano insieme la domenica mattina e decidono cosa cucinare".
E prosegue, sulla similitudine adiacente tra un set e una cucina: "È una cosa di cui abbiamo discusso più volte, anche insieme agli chef con cui abbiamo lavorato. Cucina e cinema, due delle poche attività che possono essere paragonate, a causa del numero di cose che devi realizzare e di cose che devi eseguire. Bisogna preparare ogni dettaglio, e recitare a un ritmo molto elevato per diversi giorni di fila, per diverse settimane di seguito, come se non finisse mai. Sono due attività molto simili".
The Bear 3x03: grande esperienza di visione
Ritmo estenuante e velocità folle, Porte - Doors, è amalgamata alla perfezione: la macchina da presa che stringe, vorticosa ed impazzita, il montaggio alternato, gli occhi che si incrociano, sfrigolando e bruciando. Giorno dopo giorno, menù dopo menù. I tavoli sempre pieni, ma il budget che lievita, per buona di Jimmy (Oliver Platt), che nel Bear c'ha investito tutto quello che poteva investirci. E poi la musica, che alterna ritmo e cadenza. Duccio Fabbri sceglie gli archi della Špalíček Suite No. 2, H. 214b: II. The Shoemaker's Capricious Patron di Neeme Järvi per l'Estonian National Symphony Orchestra & Liidia Ilves, prosegue poi la Filarmonica di Vienna con suona la Sinfonia n. 4 di Felix Mendelssohn, e chiude La Traviata: Intermezzo, suonata da Yuri Sazonoff & Jerry Caringi. Una scelta che riflette il costante stadio d'ansia che avvolge i personaggi. "L'ansia rispecchia il tempo e il luogo in cui viviamo, soprattutto nelle città. Penso anche ai i giovani mentre vivono con i loro social media. The Bear è davvero un riflesso, uno specchio dell'ansia", ci dice il regista.
Straordinario il confronto estremo ed esplosivo tra Carmy e Richie, mentre Sydney prova a tenere la traccia razionale, senza mai perdere di vista le lancette dell'inesorabile orologio. "Porte!", "Servizio!", "Sì, chef!". I piatti sporchi, l'acqua che bolle, un bicchiere rotto, il gas acceso. Che turbinio, che meraviglia. E allora, questa terza stagione, che si esplica in questo terzo episodio, sottolinea anche la potenza scenografica di Carmy, reso da Jeremy Allen White uno dei migliori personaggi maschili della serialità. "Può sembrare strano, ma Carmy è molto amato perché si prende cura degli altri. Nonostante le apparenza, sta davvero facendo tanto per chi gli è accanto, che sia la sua famiglia, i suoi clienti, o i suoi chef".
A proposito di ansia, c'è un passaggio in Porte - Doors nel quale Sydney controlla e placa Carmy, sull'orlo dell'esplosione. "Non sono la tua cazzo di babysitter", gli dirà, prendendo il controllo della cucina. Esempio di tenacia e di bravura, riassunta nel talento di Ayo Edebiri, rising star hollwyoodiana (che in The Bear 3 è anche regista dell'episodio sei). "Lavorare con Ayo è come giocare a ping pong", confida Fabbri. "Devi essere sempre pronto, perché la palla arriva dall'altra parte molto velocemente. Quindi ti costringe a passare ad un livello successivo. E lei arriva sempre con un'espansione e una versione diversa, ma che valorizza ciò che proponi. Lavorare con lei è una gioia pura". Così com'è gioia pura vedere The Bear. Che serie irrinunciabile.