La difficoltà dietro la riuscita di un progetto come The Bad Guy rientra in uno di quei casi parossistici in cui si ritrova ad essere mascherata proprio dal risultato ottenuto. La vecchia regola di essere così tanto bravi a fare qualcosa da farla sembrare incredibilmente facile, anche se di facile non c'è proprio nulla.
Eppure, per rendersene conto basta fermarsi un attimo ad analizzare i tanti livelli di scrittura della serie, gli obiettivi che riesce a ragiugere o, ancora più semplicemente, quanto il nostro panorama ha provato a fare qualcosa del genere e, di conseguenza, quanto ne avesse bisogno. Potremmo dire che Giancarlo Fontana e Giuseppe Stasi sono riusciti ad inquadrare un vuoto naturale nel nostro immaginario.
La serie Prime Video e Indigo Film arrivata alla seconda stagione ha dimostrato, infatti, di essere una creatura che si sposa perfettamente non solo con la necessità di riuscire a trovare il modo di rileggere e, di conseguenza, aggiornare un immaginario tradizionale che aveva bisogno di emanciparsi anche da schemi morali in cui era inquadrato, ma anche la via per essere internazionalmente appetibili senza snaturare un punto di vista specifico. La soluzione è stata trovata nell'ambientare The Bad Guy in una realtà parallela.
Una dimensione complessa
La trovata intorno alla quale gira l'intera struttura di The Bad Guy è quella di fondere l'idea di una narrazione antimafia (che è più quella canonica, specialmente negli sceneggiati televisivi del nostro Paese) con una "filo", come possiamo pensare essere Gomorra o Romanzo Criminale, cioè adottando il punto di vista criminale, ma in un modo nuovo. Se infatti nelle serie citate è sempre rilevante sia la condanna al sistema criminale e sia il giudizio morale sull'apparato di riferimento e i suoi protagonisti, in questo caso tutto si svolge all'interno di una zona grigia in cui la moralità viene, più propriamente, sospesa, almeno nel suo senso più generale. E allora affiorano, sul serio, le persone e i personaggi.
Nino Scotellaro / Balduccio Remora sono i due volti di un personaggio che rappresenta una realtà più complessa e liquida, che si mischiano in continuazione invece di essere in antitesi e trovano un terreno comune in una etica alterata preesistente alla divisione. Il magistrato e il mafioso condividono il medesimo spirito, indomito e antistituzionale, che è quello dell'italiano e dell'Italia tutta. Un Paese squilibrato, grottesco, contraddittorio e fascinoso. Di più, potremmo osare e dire che la trasformazione stessa del protagonista è sinonimo dell'operazione della serie, che prevede la modifica di un volto per poterlo fare esprimere al meglio.
Guarda caso, quelle sopra elencate sono anche alcune tra le principali caratteristiche con le quali si può descrivere la dimensione in cui The Bad Guy si muove. Una dimensione surreale che però gli autori hanno saputo trasformare in uno specchio deformato e rivelatorio della Nazione, notoriamente più leggibile nei suoi risvolti più crudi e spietati proprio come quando la si vede come un quadro da operetta. Una chiave di lettura che fece, a suo tempo, la fortuna di Boris.
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The Bad Guy: italianità internazionale
Questa geniale idea ha permesso a The Bad Guy di lavorare su due fronti differenti, ma complementari. Da una parte c'è l'idea di sovversione del genere di riferimento attraverso una destrutturazione totale di schemi, personaggi e archetipi, pescando a piene mani strumenti e visioni più moderne e globali, e dall'altra una rilettura tra lo storico e antropologico del nostro Paese, utilizzando un punto di vista interno. Italianità internazionale.
La serie di Fontana e Stasi, e scritta da Ludovica Rampoldi, Davide Serino, e lo stesso Stasi, è un prodotto incredibilmente nostrano, non solo per le tematiche, ma anche per il modo in cui vengono discusse, messe in scena, scritte e interpretate, ma ha anche ormai assorbito e implementato dei meccanismi dall'appeal globale e che vengono, infatti, da altri lidi, soprattutto oltreoceano, ma non solo. Un passo importante per l'intero nostro sistema audiovisivo a cui è importante dare un seguito (cosa non fatta in passato) non a livello editoriale, ma, probabilmente industriale.
The Bad Guy deve essere un nostro biglietto da visita e casus studi per il lavoro complesso e stratificato che fa sul linguaggio, primo stadio di un meccanismo che l'ha visto in crescendo dal punto di vista dell'efficacia della struttura seriale, dello sviluppo dei personaggi, del rafforzamento del proprio ecosistema narrativo. Un impianto forte che poi permette alla serie di viaggiare sperimentando e rischiando. Una ricetta solida, ragionata e quindi aperta ad altro, che sia una spezia differente, un nuovo ingrediente o un'alterazione sul minutaggio della cottura. Una serie in divenire, in evoluzione, in cambiamento. Il cambiamento è ciò che salva, sempre.